Il Corsivo

La cultura dell'emergenza ambientale
L'Italia è il Paese dove in modo ciclico va in scena la cultura dell'emergenza ambientale. Sono bastati pochi giorni di piogge eccezionali e ampiamente previste per far tornare a galla lo stato di incuria in cui versa una parte consistente del nostro territorio. Dal fiume Panaro straripato nel modenese, al Mose non attivato a Venezia con l'inevitabile innalzamento dell'acqua, passando per le allerte in Campania, Lazio, Friuli-Venezia Giulia, Veneto.
Se torniamo indietro nel tempo, polemiche sulla gestione del territorio infuriarono dopo le alluvioni del Polesine nel 1951 e 1957, di Firenze nel 1966, della Valtellina nel 1987, del Piemonte nel 1994; in seguito alla sciagura del Vajont nel 1963; ai terremoti del Belice nel 1968, del Friuli nel 1976, dell’Irpinia nel 1980, dell’Umbria nel 1997, de L'Aquila nel 2009, fino ai più recenti nel Centro Italia; alla frana della Val di Stava del 1985.
Un elenco lungo e drammatico di eventi tragici. Ma i pur preparati funzionari della Protezione Civile e i tecnici del Genio Militare nulla possono davanti alla carenza di una pianificazione strutturale delle politiche ambientali di buona parte dei Governi che si sono succeduti in questi anni.
Prevale una cultura di tipo emergenziale, cioè si interviene dopo le calamità, quasi mai prima. Si finanzia la cosiddetta “green economy”, ma manca spesso un pensiero lungo, una visione ambientale. Di questo, e molto altro ancora, avrebbe bisogno il nostro Paese. (Foto di Erroscia, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons)
9 dicembre 2020
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