Il Punto della settimana

S.O.S. Inflazione
A cura di Ferruccio Bovio
L’inflazione avanza in maniera preoccupante: in Italia è salita all’8% (e cioè ai livelli degli anni Ottanta), tuttavia lievemente al di sotto della media europea dell’8,6%. Se andiamo a considerare il fatto che, per garantire il mantenimento della stabilità dei prezzi, la Bce è tenuta ad agire per contenere il trend inflattivo al 2% in una prospettiva di medio termine, allora non potrà che emergere, con chiarezza, tutta la distanza che intercorre tra la situazione odierna e quella che, invece, l’istituto di Francoforte si prefigge di raggiungere nell’arco di due o al massimo tre anni.
Ci domandiamo se il ritorno così minaccioso dell’inflazione fosse prevedibile o meno da parte di chi governa la politica monetaria. Sono forse stati sottovalutati gli impatti generati dalla pandemia, dalla guerra in Ucraina, dalla crisi energetica strutturale e dal rischio carestia che incombe adesso soprattutto sui Paesi meno sviluppati? Quasi certamente si, visto che un buon governo della moneta dovrebbe basarsi, essenzialmente, su una politica di anticipo e sulla tempestività nel porla in atto, intervenendo immediatamente sugli scenari in evoluzione: altrimenti, se si trattasse soltanto di limitarsi ad un banalissimo rilievo dei dati economici, saremmo capaci tutti a fare i banchieri centrali.
Pertanto, viene da pensare che alla BCE sia venuta a mancare proprio quella capacità di previsione che dovrebbe, invece, costituire una delle ragioni fondamentali della sua stessa presenza a livello continentale. Eppure, non si può neanche dire che si tratti di un’Istituzione che non disponga di tecnici e di strumenti di alto livello...però, purtroppo, questa volta ha fallito continuando ostinatamente a giudicare come solamente “transitorio” il carattere dell’aumento dei prezzi: del resto, la presidente Christine Lagarde ha continuato a sostenerlo fino a due mesi fa... Ma non si deve pensare che si sia trattato di un fenomeno esclusivamente europeo, poiché gli stessi errori di valutazione li ha commessi pure la Federal Reserve: tanto è vero che la sua ex presidente ed attuale Segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, ha sentito il bisogno di scusarsene pubblicamente.
D’altra parte, bisogna anche riconoscere che la quasi totalità degli economisti – impegnati sia a livello accademico, che governativo - non aveva avvertito il profondo smottamento che era in arrivo e che avrebbe rimesso radicalmente in discussione quell’andamento sostanzialmente deflazionistico al quale ci eravamo abituati da diversi anni. Uno smottamento giunto quindi inatteso, per riproporci un vecchio scenario caratterizzato da penurie di materie prime e da pesanti aumenti dei prezzi.
E purtroppo, da previsioni e calcoli sbagliati, di solito derivano conseguenze peggiorative che, in questo caso, hanno incautamente indotto banche centrali e governi a prendere provvedimenti di politica economica e finanziaria troppo espansivi, i quali hanno finito per favorire il ritorno dell’ inflazione anziché prevenirla.
L’estate scorsa gli studi degli economisti prevedevano un’inflazione del 2% a fine 2021. Invece, sappiamo tutti che già alla fine dell’anno i tassi inflattivi erano un po’ ovunque raddoppiati, se non addirittura triplicati.
A questo punto, per i singoli governi nazionali, l’imperativo prioritario diventa quello di allontanare il “rischio recessione”: e non sarà certo facile conciliare le sacrosante ragioni del sostegno ai ceti più in difficoltà, con quelle ben più aride del contenimento del debito pubblico. La parola che riaffiora, in modo sinistro, dai ricordi degli Anni 70 è, oggi, quella di “stagflazione”, con la quale si definisce una situazione in cui coesistono un’ alta inflazione ed una crescita bassa (o nulla): e si tratta di un problema assai complesso da affrontare, dal momento che i tipici strumenti di politica monetaria ed economica possono rispondere ad uno soltanto dei due problemi, inasprendo l'altro.
A livello di Unione Europea, c’è soprattutto da sperare che prenda corpo quel progetto riferito ad un Recovery Plan dedicato alla transizione energetica ed a tutti gli effetti che ne conseguono. Un progetto caro a Italia e Francia, ma che purtroppo, almeno per il momento, non è ancora uscito dalla fase delle discussioni teoriche.
La Bce è, a sua volta, chiamata ad inventarsi qualcosa che – in quanto ad utilità ed efficacia – possa ripercorrere il cammino virtuoso del “whatever il takes” di draghiana memoria.
Sappiamo, ad esempio, che, in questi giorni, la Banca Centrale Europea ha messo in cantiere un nuovo scudo “anti spread”, che a Francoforte preferiscono definire “scudo anti frammentazione”: e noi aspettiamo, con curiosità, di conoscerne i dettagli.
03 Luglio 2022
Il Punto della Settimana di Ferruccio Bovio
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