ì
A cura di Ferruccio Bovio
Sono trascorsi esattamente trent’anni da quella sera del 30 aprile 1993 in cui a Roma, davanti all’Hotel Raphael (residenza fissa di Bettino Craxi nella Capitale), qualche centinaio di persone si radunarono per manifestare tutto il proprio livore nei confronti del segretario del Partito Socialista Italiano. Possiamo tranquillamente affermare che era la prima volta, nella storia della nostra Repubblica, che una folla composta sia dai nipotini di Togliatti, che da quelli di Mussolini, trovava un suo quanto mai imprevedibile terreno di intesa politica: e lo trovava proprio nell’avversione comune nei confronti del personaggio scomodo – detto anche “il cinghialone” – che, in quei giorni, era ormai divenuto una sorta di “nemico pubblico numero uno”. I fatti li ricordiamo bene perché, per puro caso, ci capitò di transitare nelle vicinanze del mitico albergo di Largo Febo e di osservare, sia pure da una certa distanza, lo sviluppo degli eventi.
Era successo che, al termine di un comizio che il leader del PDS, Achille Occhetto, aveva tenuto in piazza Navona per protestare contro la mancata autorizzazione a procedere nei confronti di Craxi che era stata negata dalla maggioranza della Camera, un centinaio di militanti aveva deciso di correre verso l’hotel Raphael per aspettare l’ingresso o l’uscita del “mostro” da svergognare. Venutolo a sapere, il parlamentare del Movimento Sociale, Teodoro Bontempo (conosciuto anche come “er pecora”), pensò bene di mettere il proprio cappello sull’iniziativa e, dopo essersi fatto cambiare qualche banconota con monetine spicciole, si presentò alla piazza che scandiva slogan anti socialisti, distribuendo a destra e a manca tutte le dieci e cinque lire che era riuscito a mettere insieme. Quando, poi il “cinghialone”, ignorando le raccomandazioni della Digos che gli suggeriva un’uscita secondaria, decise invece spavaldamente di varcare la soglia dell’ingresso principale dell’albergo, incominciò a piovergli addosso di tutto: non solo le ormai storiche monetine, ma anche bottiglie e colpi di casco contro la carrozzeria dell’auto che lo stava conducendo verso uno studio televisivo nel quale ad attenderlo c’era un’intervista di Giuliano Ferrara.
Indubbiamente, oltre un anno di indagini portate avanti dalla magistratura milanese sul sistema di corruzione che coinvolgeva tutti i partiti nazionali, avevano contribuito pesantemente ad avvelenare gli umori che caratterizzavano, in quei momenti, il clima nel nostro Paese…E Craxi – che certamente non era mai stato un personaggio che ci tenesse ad apparire simpatico od a coltivare rapporti di fair play con gli avversari politici – si prestava come nessun altro ad interpretare perfettamente la parte del malvagio da eliminare ad ogni costo. Tanto per rendere meglio l’idea a chi quei giorni non li può ricordare, ci viene in mente l’esito di un sondaggio, condotto tra gli studenti di un liceo milanese, che domandava ai ragazzi chi fosse stato il “più cattivo” della Storia: ebbene, il nome di Bettino Craxi veniva immediatamente dopo quello di Hitler, ma precedeva, comunque, sul podio quello del Conte Dracula…Non male come medaglia d’argento… Ecco perché, in quella tumultuosa sera di fine aprile, qualcuno decise di mettere da parte cinquant’anni di contrapposizioni non solo politiche, ma anche militari per immolare sull’altare di una chissà poi quanto effettiva pulizia morale, il capro espiatorio rappresentato da quello che era allora l’uomo più scomodo della vita pubblica italiana.
Nell’assistere a quella incivile piazzata, provammo la sensazione che qualche meccanismo si fosse rotto definitivamente: le nostre idee erano frastornate, ma ci era, comunque, chiaro che avevamo assistito, in presa diretta, ad un fatto che avrebbe segnato una svolta destinata a mutare profondamente lo svolgersi della politica, così come l’avevamo conosciuta ( e personalmente vissuta) fino a quel momento. Fu quello l’inizio della stagione dell’antipolitica, del trionfo del populismo italiano e dell’avvento della Seconda Repubblica? A distanza di tanti anni è oggi lo stesso Achille Occhetto a parlare di “un esempio di barbarie innescata dal furore giustizialista”: quella notte – commenta l’ultimo segretario del PCI – “ fu senza dubbio aperta la via per il populismo”. Grazie Achille, meglio tardi che mai.