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A cura di Ferruccio Bovio
Nella settimana appena terminata, il ministro Guardasigilli, Carlo Nordio, ha avuto modo di chiarire e ribadire, dinanzi al Parlamento, le linee guida che caratterizzano la giustizia che ha in mente lui.
La sua affermazione secondo cui “se non interverremo sugli abusi delle intercettazioni cadremo in una democrazia dimezzata”, è stata accolta da un caloroso applauso che non è venuto soltanto dai partiti della maggioranza di governo, ma ha coinvolto anche i banchi occupati dai deputati del Terzo Polo di Calenda e Renzi. E molto probabilmente – aggiungiamo noi – non pochi cenni di approvazione saranno giunti segretamente pure dai rappresentanti del PD, i quali, come è normale che sia per una componente di opposizione, hanno preferito non esprimere francamente il proprio punto di vista.
Nessun ripensamento e, quindi, nessun dietro front da parte di Nordio che è parso, invece, rimanere imperturbabile dinanzi alla valanga di critiche che gli erano appena piovute addosso sia dalle forze politiche di opposizione, che da una larga fascia della magistratura che vede, nell’annunciata stretta sulle intercettazioni, un sostanziale indebolimento di uno degli strumenti più efficaci tra quelli che sono attualmente a disposizione dei pm che indagano su mafia e terrorismo. A chi, opportunamente, gli faceva notare che abolendo le intercettazioni per reati come la corruzione – che spesso sono strettamente connessi all’azione della criminalità organizzata – si finisce, in definitiva, per facilitare il gioco dei mafiosi, il ministro ha però risposto che le intercettazioni rimarranno in vigore (oltrechè, naturalmente, per fatti di mafia e terrorismo), anche per quei reati “ che sono satelliti di questi fenomeni perniciosi”. Poi però, ha voluto togliere ogni incertezza rispetto a quali debbano essere, a suo avviso, i rapporti tra politica e giustizia, pronunciando queste inequivocabili e testuali parole: “l’Italia non è fatta di pm e questo Parlamento non deve essere supino e acquiescente a quelle posizioni”. Troppi sono stati, secondo Nordio, i casi in cui, in questi ultimi trent’anni, sono finite sui giornali notizie tratte da intercettazioni (sfuggite, in qualche modo, alla riservatezza che pure dovrebbe blindare le indagini) che hanno diffamato e ferito l’onore di privati cittadini, riportando particolari che, tra l’altro, nulla avevano a che vedere con il reato che era oggetto dell’indagine.
In sostanza, il ministro Carlo Nordio sembra porsi finalmente il problema delle persone che finiscono in quel tritacarne che nasce, quasi inevitabilmente, dalla complicità silenziosa di una magistratura insofferente ad ogni sorta di limitazioni con quella di una stampa cinica e priva di scrupoli, che non vede l’ora di poter sbattere ogni giorno un nuovo mostro in prima pagina. Eppure, esiste un articolo della nostra Costituzione – si, proprio quella a cui giuristi di ogni tendenza si appellano spesso e volentieri – che stabilisce che nessun individuo può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa e nella sua corrispondenza. Nè possono essere violati i suoi diritti alla tutela del proprio onore e della propria reputazione.
Che cosa c’è, dunque, di tanto sovversivo nel progetto di riforma della Giustizia che sta prendendo corpo nelle stanze di via Arenula? Non va forse nel senso indicato dall’art.12 della nostra Carta Costituzionale?
Non a caso, nel discorso con cui Renzi negò in Senato la sua fiducia all’attuale governo, diede atto, comunque, a Giorgia Meloni di aver compiuto, per il delicato dicastero della Giustizia, “la scelta migliore”.
A questo punto, a noi non resta che sperare che, dopo tre decenni di linciaggi morali, mediatici e – purtroppo – talvolta anche giudiziari, sia ormai giunto il momento in cui questo Paese possa, provvidenzialmente, riscoprire la positiva importanza di valori liberali e democratici come il garantismo e la serenità di giudizio.