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A cura di Ferruccio Bovio
La notte dell’ammutinamento di Prigozhin, a Mosca era entrato in funzione un piano – denominato, non a caso, “Fortezza” – che predisponeva tutte le misure necessarie per impedire qualunque attacco alla Capitale. E’ difficile credere che la colonna di miliziani della Wagner che avanzava verso il Cremlino ne ignorasse l’esistenza, ciò nonostante procedeva imperterrita, probabilmente conscia di poter contare sull’appoggio di almeno una parte dell’esercito regolare e dei servizi segreti. Tra l’altro, in quelle stesse ore, i vertici delle istituzioni russe stavano dando a tutto il mondo la netta sensazione di preoccuparsi essenzialmente del proprio destino e della propria sopravvivenza politica, se non addirittura di quella biologica. E’, quindi, impossibile che, in quei tormentati frangenti, un uomo notoriamente freddo e diffidente come Vladimir Putin non abbia preso atto di quanto si stesse rivelando facile orchestrare e poi porre in atto un complotto militare contro il suo potere. Il tutto con tanto di proclami apertamente ostili ed alla luce del sole. Da qui nasce, evidentemente, l’esigenza – per lui ormai di vitale importanza – di circondarsi soltanto di elementi fedelissimi (a prescindere dalle loro reali capacità) e di reprimere in anticipo chiunque possa, anche solo eventualmente, pensare di poter ripercorrere la strada già tracciata da Prizoghin. Ecco perché è appena stato arrestato Igor Girkin, soprannominato “Strelkov”, cioè il “cecchino”: e stiamo parlando di un ex ufficiale dei servizi segreti, che ha comandato reparti di mercenari, che si vanta di aver sparato il primo colpo nella guerra del Donbass del 2014 e che è stato condannato all’ergastolo, come criminale di guerra, dal tribunale dell’Aja per l’abbattimento, nove anni fa, del Boeing malese, colpito nel cielo del Donbass da un missile russo che causò 298 vittime innocenti. Girkin è oggi un blogger, seguito da 900 mila follower da individuarsi, in larga misura, tra quegli ultra nazionalisti storici che danno vita a svariati gruppi di eternamente insoddisfatti che si definiscono “patrioti arrabbiati”.
L’improvvisa carcerazione di questo popolare, ma scomodo personaggio ci segnala, quindi, che è in corso a Mosca una svolta profonda nella definizione di chi è amico e di chi non lo è. Dopo la rivolta dei Wagner, i nemici più insidiosi del presidente Putin non sembrano, infatti, più essere i liberali (che, tra l’altro, sono già stati quasi del tutto cancellati dalla scena politica moscovita), ma sono divenuti, invece, proprio quei sostenitori del suprematismo russo, dell’ortodossia religiosa e del militarismo nostalgico (non importa se sovietico o zarista) che, fino a pochi mesi fa, avevano, invece, sempre appoggiato – o addirittura sostenuto entusiasticamente – tutta la politica putiniana, con particolare enfasi sulle sue mire espansionistiche.
In sostanza, con l’arresto di Girkin, l’autocrate che, sia pure traballando, comanda ancora al Cremlino pare volerci dire che, d’ora in poi, “si cambia musica” e che anche un vecchio “amico” come Girkin – sulla base dell’ormai famoso art.282 del codice penale – può oggi essere tranquillamente accusato di “estremismo” e magari prendersi anche lui una condanna a 20 anni di carcere, proprio come è successo, in settimana, al liberale Alexey Navalny.