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Esplode un deposito Eni a Calenzano. Morti, feriti, dispersi.
Se c’è una morale in quello che è accaduto a Calenzano, in un deposito di carburante dell’Eni, in una delle zone più popolose d’Italia, è che non esiste una chimica pulita. Lo avevo già compreso nel luglio 1976 quando da giovane cronista dovetti recarmi all’Icmesa di Seveso, dove una spaventosa esplosione distrusse la valvola di scarico del reattore B, provocando la fuoriuscita di 15-18 chilogrammi di diossina. Sono passati 48 anni da quell’incidente, è ancora in vigore una direttiva europea che prende il nome della città di Seveso, eppure si continua a morire in industrie chimiche. A Calenzano, è esplosa una delle autobotti presso la pensilina di carico, nella zona dove viene caricato il carburante da nove silos. Ci sono morti, feriti e dispersi. Secondo Arpat, non ci sono rischi per la salute. Le concentrazioni in aria a livello del suolo a partire dalla conclusione delle operazioni di spegnimento sono da ritenersi trascurabili e la nube dell’incendio si è dispersa.
I lavoratori proclamano lo sciopero.
Cgil Firenze, Cisl Firenze Prato e Uil di Firenze proclamano uno sciopero generale provinciale di 4 ore, a fine turno, per mercoledì 11 dicembre. Si tratta di una risposta doverosa a quanto accaduto a Calenzano. I sindacati dicono che senza sicurezza non c’è lavoro, non c’è dignità, non c’è vita. E hanno ragione. Ma qui non c’è solo il problema della sicurezza, anche di una visione di sviluppo economico che mette al centro il mero profitto rispetto alle condizioni in cui si lavora nel settore chimico. Quanti altri depositi tipo quello di Calenzano sono ancora oggi piazzati in luoghi ad alta concentrazione di popolazione, vicino a grandi agglomerati urbani?
“Il Corsivo” a cura di Daniele Biacchessi non è un editoriale, ma un approfondimento sui fatti di maggiore interesse che i quotidiani spesso non raccontano. Un servizio in punta di penna che analizza con un occhio esperto quell’angolo nascosto delle notizie di politica, economia e cronaca.
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