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A cura di Ferruccio Bovio
Era parso, almeno inizialmente, che Giorgia Meloni fosse orientata a conferire l’incarico di Commissario alla ricostruzione in Emilia Romagna al Presidente della Regione, Stefano Bonaccini. Tutto sommato, la premier aveva probabilmente ritenuto che dinanzi a interventi emergenziali (come quelli che ci sono da affrontare adesso), non dovessero esserci pregiudiziali di carattere politico e che, comunque, la figura di un governatore o di un sindaco meglio soddisfacesse – rispetto ad un estraneo al territorio devastato – quelle esigenze di capacità e rapidità decisionale che, solitamente, vengono poste dagli eventi catastrofici. Inoltre, se poi qualche cosa avesse dovuto andare sciaguratamente male, ci sarebbe pur sempre stata, per il Governo, la scialuppa di salvataggio costituita dalla possibilità di condividere gli eventuali ritardi o le inadempienze anche con un autorevolissimo esponente del PD.
Poi però, qualcuno deve aver convinto Palazzo Chigi del fatto che la soluzione Bonaccini non fosse propriamente quella politicamente più vantaggiosa per i partiti che formano la maggioranza di governo. Il primo ad esprimersi in questo senso sembra essere stato Matteo Salvini, seguito a poche ore di distanza anche da non trascurabili settori di Fratelli d’Italia. La questione è che chi otterrà l’incarico di Commissario si troverà a dover gestire tra i 5 e i 10 miliardi di euro, in un arco di tempo che precede immediatamente gli appuntamenti elettorali rappresentati dalle Europee del 2024 e dalle Amministrative del 2025, alle quali saranno chiamati, circa quattro milioni e mezzo di cittadini emiliani. Pertanto, se la sente davvero Giorgia Meloni di lasciare in mano la gestione di tutto questo fiume di denaro proprio a quel Bonaccini che ormai, a Bologna, anche i muri danno per sicuro candidato al Parlamento Europeo? Evidentemente no, visto che il nome del governatore emiliano non è nemmeno più stato preso in considerazione nell’ultima riunione del Consiglio dei Ministri. E questo, nonostante la netta presa di posizione assunta da parte di alcuni suoi colleghi di centrodestra, come il ligure Giovanni Toti, il veneto Luca Zaia ed il calabrese Roberto Occhiuito: tutti perplessi davanti alla prospettiva che quell’automatismo che, ad esempio, così bene ha funzionato nel caso del sindaco di Genova Marco Bucci (nominato nel 2018 Commissario straordinario per il Ponte Morandi), venga ora messo in discussione, aprendo, tra l’altro, le porte al rischio di favorire il sorgere di frequenti conflitti amministrativi tra Regioni ed autorità commissariali. In particolare, è il governatore della Calabria a sottolineare come le cose abbiano “ funzionato meglio quando sono stati nominati come commissari i presidenti di Regione” ed a ricordare, inoltre, “i fallimenti di dodici anni di commissari esterni”.
Tuttavia, a mancare in via Bellerio o in via della Scrofa non è certo la fantasia e così è stata prontamente studiata un’argomentazione “presentabile” per chiudere il “discorso Bonaccini”, estendendo l’area delle zone colpite dall’emergenza alluvionale anche ad alcuni territori delle Marche e della Toscana. Infatti, non riguardando più la decisione dell’Esecutivo la sola Emilia Romagna, cadono automaticamente le tutte le obiezioni di quanti si erano schierati a favore della candidatura Bonaccini e, più in generale, della omogeneità amministrativa.