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A cura di Daniele Biacchessi
Al palazzo presidenziale di Eliopoli, a est del Nilo, in una tranquilla domenica di marzo si presentano Giorgia Meloni, Ursula von der Leyen e altri quattro capi di governo o di Stato della Ue (Grecia, Cipro, Austria e Belgio). Si portano a casa da Al Sisi la promessa di fermare gli sbarchi e di mediare su Gaza. In cambio versano nelle casse egiziane la bellezza di 7,4 miliardi di aiuti da Bruxelles. Si tratta di quattrini di cui il leader egiziano ha un dannato bisogno, perchè si ritrova con un debito estero lievitato in poco tempo a 160 miliardi, con la sterlina egiziana che ha dimezzato il suo valore in un solo anno, con gli incassi dal canale di Suez sono messi in pericolo dagli attacchi dei ribelli Houthi. L’Ue si presenta in Egitto apparentemente compatta, tratta sui migranti , ma chiude gli occhi sui diritti umani in Egitto: l’argomento è relegato a poche righe nella dichiarazione finale. L’Ue si impegna a «promuovere la democrazia e i diritti». E terrà d’occhio i progressi egiziani, «ogni 2 anni». Meloni invece ringrazia Al Sisi «per l’ospitalità» ed evita di parlargli di Giulio Regeni, anche se il leader del Cairo è considerato il responsabile dei depistaggi a favore dei 4 agenti della National Security, imputati in Italia in contumacia per l’omicidio del ricercatore. E’ realpolitik bellezza, e tu non ci puoi fare proprio niente, perché alla vigilia delle elezioni europee ogni cosa è buona per portare a casa alleanze, oltre che promesse da al Sisi mai mantenute.
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