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A cura di Ferruccio Bovio
Le polemiche suscitate dalle parole pronunciate, mercoledì scorso, da Antonio Guterres, Segretario Generale dell’ONU, in realtà non dovrebbero destare un particolare stupore, dal momento che altro non fanno se non andare ad inserirsi in quella linea di continuità anti israeliana che ha sempre caratterizzato l’orientamento delle Nazioni Unite, perlomeno dalla fine della Guerra dei Sei Giorni del 1967. Da allora, infatti, lo stato di Israele è stato oggetto di un inaccettabile tiro al bersaglio che gli è costato, dal 2016 al 2022, ben 140 risoluzioni di condanna, a fronte delle altre 68 che hanno, invece, riguardato l’insieme di tutti gli altri 194 Paesi rappresentati nel Palazzo di Vetro. Particolarmente clamorosa – oltreché assurda – fu la risoluzione del 10 novembre 1975, con la quale l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite definì il sionismo come “una forma di razzismo e di discriminazione razziale”. Risoluzione che fu tardivamente cancellata solamente 16 anni dopo, nel dicembre 1991. E stiamo, purtroppo, parlando di un Organismo che, tanto per fare un esempio, lo scorso maggio, ha tragicomicamente assegnato proprio all’Iran la presidenza del Forum Sociale del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite… Il tutto, facendo naturalmente finta di ignorare, le 582 condanne a morte comminate negli ultimi 7 anni e le repressioni oscurantiste di cui sono sistematicamente oggetto, nella repubblica islamica, le donne e gli omosessuali.
Ricordiamo che Guterres, dopo aver espresso la sua formale e scontata condanna per la strage perpetrata da Hamas il 7 ottobre, ha poi aggiunto che, comunque, non si è trattato di una violenza nata dal nulla, ma di una conseguenza maturata in un quadro che, da 56 anni, vede “il popolo palestinese sottoposto ad una soffocante occupazione”. Difficile credere che il massimo funzionario dell’ONU ignori il fatto che, in realtà, è dall’estate del 2005 che il piano di disimpegno unilaterale israeliano ha smantellato i 17 insediamenti ebraici presenti nella Striscia di Gaza, trasferendone altrove gli abitanti e consegnando l’intero territorio all’Autorità Nazionale Palestinese. Peccato invece che, una volta raggiunta la piena autonomia gestionale, tra Hamas e Fatah non abbiano saputo fare altro che scannarsi tra di loro, fino alla presa del potere da parte del movimento fondamentalista ed alla cancellazione umana di ogni eventuale residuo di opposizione politica.
In sostanza, la posizione assunta ufficialmente dall’ONU ricalca quella di tanti politici e commentatori che, dopo aver deplorato l’inqualificabile eccidio commesso da Hamas, si sono poi però anche subito affrettati a chiarire che, in fondo in fondo, quello che è successo Israele se lo era pure andato a cercare…Siamo così in presenza di una forma di giustificazionismo che, se rigorosamente adottata, porta, inevitabilmente a legittimare ex post ogni sorta di violenza, poiché, se andiamo a cercare a ritroso nel tempo, troveremo sempre un pretesto per incolpare qualcuno di cui intendiamo disfarci.
Nel caso in questione, la “colpa” ancestrale risiede nella presunta “occupazione”, da parte di Israele, di territori che da sempre sarebbero appartenuti al popolo palestinese: e qui ci addentriamo in un argomento che richiederebbe uno spazio ben diverso da quello di cui dispone questa nostra rubrica, poiché, in realtà, il cosiddetto “popolo palestinese” è stato inventato, negli Anni 60, in funzione anti occidentale, dai servizi segreti sovietici che, a tal proposito, formarono un ingegnere – sia chiaro egiziano e non “palestinese” – di nome Yassir Arafat, spiegandogli, per filo e per segno, cosa avrebbe dovuto dire e fare per accreditarsi come leader di una nazione che, fino a quel momento, non era mai esistita, se non come un povero territorio dell’impero ottomano dimenticato da Dio e dai santi. Impero ottomano che, dopo la Prima Guerra Mondiale, venne smembrato dalle potenze vincitrici, le quali ridisegnarono anche l’assetto del Medio Oriente destinando, tra l’altro, al popolo ebraico un’area ben più ampia di quella che costituirà l’Israele fondato nel 1948. Questo per dire che, a voler essere pignoli, lo Stato ebraico, sulla base di quanto stabilito dalla Conferenza di Sanremo – che si tenne, nel 1920, tra Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Giappone – e da quelle successive di Sevres (1922) e Parigi (1924), avrebbe oggi titoli adeguati per rivendicare – anche se non lo ha mai fatto – la propria sovranità persino sulla Cisgiordania governata da Abu Mazen. E’ infatti del 1922, il testo fatto proprio (e mai abrogato) dalla allora Società delle Nazioni – e cioè dall’ONU di oggi – che stabilì, inequivocabilmente, che agli ebrei sarebbero spettati tutti i territori a occidente del fiume Giordano.
In quella fase storica, si posero, quindi, quelle basi costitutive di Israele che verranno poi confermate e realizzate dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1947. Come è noto, in quell’occasione, l’organizzazione sionista – pur rinunciando a vaste aree territoriali previste dalle intese degli Anni 20 – accettò, comunque, la divisione concepita dall’ONU, dando così vita al primo autentico Stato ebraico della storia recente. Gli Arabi, invece, la rifiutarono e scesero in campo per distruggere Israele: e si sa come andarono, per fortuna, le cose nella prima guerra di indipendenza israeliana del 1948. Ma, sulla base del diritto internazionale, la legittimità dello Stato di Israele – piaccia o non piaccia a Guterres ed a quelli come lui – nasce proprio dalla Conferenza di Sanremo e dai suoi sviluppi successivi.