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IL PUNTO DELLA SETTIMANA

Il “discolo” Zelensky | 20/11/2022 | Il Punto della Settimana

today20 Novembre 2022

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I missili che hanno provocato la morte di due persone sul suolo polacco – a prescindere da quale fosse la loro provenienza – vi sono finiti inavvertitamente. Sono ordigni utilizzati da entrambi gli eserciti in campo e, di conseguenza, i rilievi effettuati sul luogo del disastro dai tecnici della NATO per stabilirne l’origine, hanno presentato difficoltà oggettivamente innegabili. Noi pensiamo però, che da Washington a Varsavia o da Parigi a Londra, tutti i governi occidentali abbiano pregato ogni santo possibile ed immaginabile affinché, dalle indagini, non emergesse alcuna responsabilità certa da parte dei Russi. Sappiamo tutti cosa prevede, infatti, l’art.5 del Trattato Costitutivo della NATO, in caso di attacco esterno ad uno dei Paesi membri. Basta, quindi, uno sbaglio o una distrazione – che umanamente possono verificarsi in qualsiasi momento – ed ecco che quello che siamo sempre stati abituati a considerare come un rischio remoto, ci si manifesta, improvvisamente, dinanzi agli occhi in tutta la sua catastrofica realtà.

Tuttavia, ci sembra di poter trarre almeno parziale conforto dal fatto che la spinosissima questione sia stata trattata con estrema prudenza da tutte le parti in causa: cosa, del resto, riconosciuta pure da Mosca. Abbiamo sempre pensato che a guidare tutte le azioni umane – anche le apparentemente più superficiali – sia un ancestrale istinto di sopravvivenza: ed i passi di piombo con cui si sono mossi gli Stati Uniti e la Polonia in questi giorni sembrano convalidare questa nostra percezione esistenziale. In altre parole, prima di avventurarsi in situazioni che li possano mettere frontalmente l’uno davanti all’altro, sia il Pentagono che il Cremlino ci penseranno qualche decina di volte…Come già avvenne esattamente sessant’anni fa, quando Kennedy e Kruscev ci fecero uscire tutti indenni dalla delicatissima crisi dei missili a Cuba. Tuttavia, in questo scenario saggiamente improntato al buon senso, ci è parso di poter cogliere una nota stonata nell’atteggiamento assunto dal presidente ucraino Zelensky, il quale, forse incurante dei rischi che corre l’umanità intera in questi frangenti, ha colto la palla al balzo per chiedere ai vertici della NATO di intensificare gli sforzi comuni contro la Federazione Russa.

Sia chiaro, noi riteniamo che la guerra sia stata indiscutibilmente provocata dalla Russia e che l’Ucraina abbia il sacrosanto diritto di difendere la propria indipendenza e la propria integrità territoriale. Ciò nonostante, il governo di Kiev, in preda evidentemente all’euforia scatenata dagli ultimi successi ottenuti sul campo di battaglia, dà la netta sensazione di sorvolare su un dato essenziale: quello cioè che se oggi, dopo nove mesi di terribili combattimenti, esiste ancora uno Stato ucraino e lo stesso Zelensky non è finito fisicamente eliminato, lo si deve in larghissima misura al sostegno economico e militare che il Paese ha ricevuto dalle capitali occidentali. Intendiamoci, che non si possano mettere a rischio la sopravvivenza stessa del Pianeta o l’economia globale per un tratto di terra nel Dombass, è una cosa che andrebbe spiegata innanzitutto a Putin, ma anche a Kiev un bagno di sano realismo non farebbe affatto male. In effetti, Mosca ha ancora in mano importanti aree strategiche, come la centrale nucleare di Zaporizhzhya (la più grande d’Europa, la principale fonte di approvvigionamento energetico del Paese) o la città di Melitopol e pertanto, come ha evidenziato anche il capo di stato maggiore statunitense Mark Milley, una vittoria militare completa da parte degli Ucraini è assai improbabile, così come l’espulsione dei Russi da tutte le aree che hanno occupato sembra destinata a rimanere un’opzione velleitaria.

Si ha la sensazione che, a livello diplomatico, qualcosa si stia muovendo (magari anche rimettendo in riga Zelensky) e che, nelle ultime settimane, il desiderio americano di favorire una prossima fine delle ostilità stia diventando sempre più chiaro: il tutto, naturalmente, dopo aver poste le basi per garantire – almeno temporaneamente – la sicurezza di Kiev, aiutandola nell’opera di ricostruzione.

Se potessimo parlargli, diremmo a Zelensky che quella che, sia pure “obtorto collo”, stiamo tutti interpretando non è una delle commedie di cui – in un’altra vita – egli stesso era stato regista e attore protagonista, ma è invece un dramma nel quale sono coinvolte, oltre alla sua, anche altre nazioni (comprese quelle dell’Unione Europea), le quali stanno pagando un prezzo altissimo in termini economici e sociali e, di conseguenza, non possono essere considerate come semplici spettatrici sedute in sala per assistere alla proiezione del film.

Certo, a sua volta Zelensky potrebbe risponderci – non senza ragioni fondate – che se, da un lato, un armistizio o, comunque, una soluzione tattica di breve respiro consentirebbe all’Occidente di vendere alla propria opinione pubblica un risultato favorevole come la fine delle ostilità, dall’altro permetterebbe però anche a Putin di riprendere il fiato necessario per riorganizzarsi militarmente, in vista di una rinnovata fase conflittuale alla quale probabilmente non rinuncerà mai.

Che fare allora per portare un minimo di serenità in quella martoriata Regione? Forse, l’unica via percorribile è quella di favorire l’ingresso dell’Ucraina nella NATO.


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