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A cura di Ferruccio Bovio
Ci siamo sempre chiesti, fin dal momento in cui lo candidò addirittura per la Presidenza della Repubblica, quale sottile affinità culturale o politica potesse accomunare Giorgia Meloni al neo ministro della Giustizia Carlo Nordio: un ex magistrato che, da diversi anni, non esita ad esprimere apertamente opinioni “garantiste”, che difficilmente paiono compatibili con quelle, invece, “manettare” e giustizialiste che storicamente hanno caratterizzato la politica giudiziaria della Destra italiana.
Non che nel corso della sua carriera, vissuta alla procura di Venezia, il nuovo Guardasigilli non abbia mai calcato la mano sugli arresti preventivi o su altri provvedimenti restrittivi della libertà degli indagati, ma bisogna però riconoscergli l’onestà intellettuale di avere successivamente ammesso i suoi errori e di averne fatto intelligentemente tesoro. Ed a questo proposito, ci viene, ad esempio, in mente quando, nel 1993, conducendo un’indagine che partiva dal fallimento di alcune cooperative agricole venete, ipotizzò che si trattasse di strutture create ad arte per ottenere finanziamenti pubblici da dirottare poi nella casse del PDS. In quella occasione, Nordio cominciò a guadagnarsi una certa notorietà, andando a sequestrare tutti i bilanci delle Feste dell’Unità venete, in quella che venne allora ironicamente denominata “operazione braciola pulita”. Vennero chiamati in causa anche Achille Occhetto e Massimo D’Alema sulla base del famoso teorema – tanto in voga in quei mesi – del “non poteva non sapere”, anche se poi fu lo stesso Nordio a chiedere l’archiviazione dell’inchiesta per i vertici del PDS, riconoscendo testualmente che era “inaccettabile l’assioma che chi stava al vertice non potesse non sapere”. Una coraggiosa ammissione che lo porterà ad avere più di un contrasto con l’allora dominante protagonismo giustizialista della Procura di Milano.
Ma c’è, inoltre, un episodio particolare nell’esperienza professionale di Carlo Nordio che lo indurrà, drammaticamente, a riflettere su quelli che egli stesso ha definito i suoi ”bravi errori giudiziari”. E si tratta della vicenda di un maestro elementare da lui arrestato e suicidatosi un mese dopo la scarcerazione: da quel momento, il procuratore veneto incomincerà a meditare su “quante misure cautelari potessero essere evitate” ed arriverà al punto di mandare alle stampe un volume intitolato ”In attesa di giudizio”, scritto a quattro mani con l’avvocato di sinistra Giuliano Pisapia, oltre ad un altro testo dedicato a “Calogero Mannino e alle altre vittime di errori giudiziari”.
Resta, comunque, il fatto che, al di là di tutte queste prese di posizione di stampo garantista, Carlo Nordio non ha esitato ad accettare la candidatura al Senato offertagli da Fratelli d’Italia, con la concreta prospettiva di andare ad occupare le stanze del Ministero di via Arenula, dove adesso lo attende una spinosissima matassa di lavoro da sbrogliare.
Immaginiamo che l’atteggiamento più volte assunto da Nordio sul carcere non debba certamente entusiasmare la premier Meloni, soprattutto quando il ministro sostiene – come ha fatto recentemente parlando agli studenti universitari romani – che “la condanna deve essere eseguita, ma questo non significa solo carcere e soprattutto non significa carcere crudele e inumano che sarebbe contro la Costituzione e i principi cristiani”. Il detenuto – sempre secondo Nordio – deve, quindi, essere aiutato nel suo recupero o “almeno a non farlo diventare peggiore di quando è entrato in prigione”. Parole, queste, che sembrano stridere in modo abbastanza evidente con quelle pronunciate dalla Meloni nel suo discorso programmatico alla Camera, quando ha ricordato, a chiare lettere, che il suo sarà un governo di destra e, pertanto, nessuno si aspetti che da esso possa scaturire un provvedimento “svuotacarceri”. Quella in carcere deve, dunque, rimanere la pena centrale, altrimenti – si pensa in via della Scrofa – si rischia l’impunità di massa. Come questi due approcci così distanti (se non del tutto contrapposti) al problema giudiziario siano coniugabili, non sarà agevole appurarlo.
Sempre in tema di reclusioni, un potenziale elemento di disaccordo tra palazzo Chigi e dicastero della Giustizia rischia di affiorare proprio nel mese che sta per iniziare, nel momento in cui scadrà il termine che aveva fissato la Corte costituzionale per riformare l’ergastolo ostativo: e vale a dire, l’istituto che impedisce ai condannati per mafia e terrorismo, che non abbiano collaborato con la magistratura, di uscire dal carcere. Secondo Nordio, dovrebbe essere cancellato, così come – a suo giudizio – ogni altro tipo di ergastolo. Meloni la pensa, invece, in modo diametralmente opposto, come ha esplicitamente chiarito parlando martedì scorso alla Camera, quando ha espresso la speranza che si voglia aiutare il Governo, per impedire che venga meno quello che – a suo avviso – rappresenta “uno degli strumenti più efficaci per la lotta alla mafia”. Insomma, siamo proprio curiosi di vedere come un ministro che forse piace di più all’opposizione, che alla maggioranza (Renzi ha persino ringraziato la Meloni per aver scelto “il meglio che ci fosse”), riuscirà a non deludere tutte le aspettative che su di lui si stanno accentrando da una parte e dall’altra della politica italiana.