ì
A cura di Ferruccio Bovio
Continua a pieno regime la campagna d’Africa di Giorgia Meloni. Dopo avere ampliato recentemente gli accordi che già ci legavano all’Algeria facendone, attualmente, il nostro maggiore fornitore di gas, la presidente del Consiglio è da ieri a Tripoli, dove l’ENI ha in programma di firmare un nuovo contratto da otto miliardi di dollari, destinato allo sfruttamento di due giacimenti di gas al largo delle coste libiche. Tutto questo impegno del governo italiano va ad inerirsi nell’ambito di quello che la Meloni stessa ha, più volte, definito come il “Piano Mattei”, dal nome del padre fondatore di tutte le nostre strategie energetiche. E si tratta di un disegno molto ambizioso che, nelle intenzioni di Palazzo Chigi, dovrebbe portare il nostro Paese a recitare una parte da assoluto protagonista sullo scenario internazionale, trasformandolo in uno snodo essenziale, attraverso il quale far transitare la porzione più rilevante di quei 400 miliardi di metri cubi di gas all’anno che risultano indispensabili al normale funzionamento di quasi tutto il continente europeo. Inoltre, su questi tavoli di discussione nord africani, vengono affrontati anche altri temi di notevolissima rilevanza prospettica, come quelli relativi all’elettricità ed all’idrogeno che Algeria, Libia ed Egitto intendono produrre ed esportare grazie all’energia solare.
Tutto benissimo, quindi, anche se, per la verità, un paio di domande ci vengono in mente. La prima riguarda l’affidabilità geo politica dell’area in cui l’Italia andrà ad investire risorse gigantesche: dobbiamo, infatti, augurarci che i nostri nuovi interlocutori energetici si confermino partners più stabili ed affidabili di quanto si sia rivelata, nel tempo, la Federazione Russa. Oggi, tanto per fare un esempio, chi se la sente di scommettere davvero qualcosa di importante su una Libia che è sostanzialmente stata smembrata in due da Erdogan e da Putin?
La seconda osservazione che ci viene da fare è, invece, di un’altra natura e concerne la composizione stessa del nostro modello energetico che continua, comunque, a dipendere dall’importazione di gas. Restiamo strategicamente deboli ed in balia di eventi naturali, politici ed economici che difficilmente saremo in grado di controllare. Il tutto mentre persino nei Paesi mediterranei che ci venderanno le materie prime, si assiste ad una fioritura di progetti relativi all’energia nucleare. Non sarà che sulla sponda meridionale del “Mare Nostrum”, qualcuno incomincia ad essere un po’ più lungimirante di noi?