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A cura di Ferruccio Bovio
Da giovedì scorso, è, dunque, vietato produrre e commercializzare, in Italia, “carni” di tipo diverso da quelle che siamo stati abituati a conoscere fin dai tempi più remoti. Il drastico provvedimento legislativo, fortemente voluto dal ministro Lollobrigida, non aveva neppure emesso il suo primo vagito che già si fronteggiavano con piglio molto deciso – vedasi il filmato con lo scontro quasi fisico che avviene tra il presidente della Coldiretti ed il segretario di +Europa – due schieramenti pronti a litigare su una questione che, nella sua complessità, spazia dai temi legati alla produzione industriale a quelli più prettamente etici. E stiamo parlando della profonda divergenza di opinione che contrappone chi parla di “carne artificiale” (richiamando, con questa definizione, la non chiara immagine di un prodotto costruito in laboratorio dalla sola sintesi chimica) a chi, invece, usa l’espressione di “carne coltivata”, intesa come alimento che nasce indubbiamente “in vitro”, ma pur sempre da cellule animali.
Oltre ai due divieti appena citati, la nuova normativa ne introduce anche un altro assai restrittivo, relativamente all’utilizzo, sulle confezioni dei prodotti, di terminologie che, evocando il concetto di carne, possano trarre in inganno il consumatore: pertanto, spariscono dagli scaffali dei nostri supermercati, denominazioni come “polpette di mais” o “hamburger di verdure”. E possiamo, a questo proposito, immaginare con quanta gioia abbiano accolto queste ultime disposizioni legislative le aziende italiane che lavorano in un mercato – fino ad oggi in forte espansione – come quello dei cibi vegetali… La norma non scherza e prevede, infatti, per i trasgressori, multe che vanno dai 10 mila ai 60mila euro (oppure fino al 10% del fatturato totale annuo realizzato, anche se entro un massimo di 150mila euro).
E’ chiaro che, in prospettiva, la possibilità di prelevare alcune cellule da animali reali (e non virtuali) per usarle come basi per la produzione di carne al di fuori dell’animale stesso, non può che allarmare il comparto intero degli allevamenti, poiché, in concreto, si consentirebbe all’uomo di continuare a cibarsi di carni , eliminando però – finalmente, aggiungiamo noi – gli animali dal processo produttivo. Tra l’altro, secondo i fautori della carne in laboratorio, quella appena approvata dal Parlamento italiano sarebbe anche una legge superflua poiché vieta un qualcosa che, comunque, a livello comunitario non è mai stata autorizzato: infatti, l’Unione Europea, almeno fino ad oggi, è rimasta ancora ferma ad un regolamento del 1997 che nega il diritto non solo alla vendita, ma persino al consumo di prodotti nati in laboratorio, se non al termine di un rigoroso percorso di analisi che, finora, non ha neanche mai avuto inizio. D’altra parte, nel caso in cui Bruxelles dovesse, un domani, autorizzare la commercializzazione di questo tipo di carni, l’Italia altro non potrebbe fare se non adeguarsi alle limitazioni vigenti sulla circolazioni delle merci nei Paesi UE.
Alcuni scienziati sottolineano, inoltre, gli effetti positivi che la “carne coltivata” potrebbe avere sulla difesa dell’ambiente e della salute pubblica, visto che il 90% della carne che viene consumata nei Paesi sviluppati (come l’Italia) proviene da allevamenti intensivi, i quali figurano notoriamente tra le principali minacce ecologiche.
Tuttavia, è veramente solo un opportunistico ed ottuso atteggiamento retrogrado quello di chi ha brindato tre giorni fa con il ministro Lollobrigida? Francamente, pur auspicando noi da sempre il superamento di ogni forma di sfruttamento animale, non ci pare che si possa affermare una cosa del genere. Intanto perché i costi di produzione della bistecca “in vitro” sono ancora decisamente proibitivi per le capacità di spesa del consumatore medio europeo: basti pensare che il primo hamburger che fu consumato nel 2013 in America venne pagato ben 330mila dollari…La ricerca, nel frattempo, è andata senz’altro molto avanti, ma è chiaro che siamo ancora piuttosto lontani dal momento in cui questa nuova opportunità di alimentarsi sarà divenuta una cosa alla portata delle nostre tasche…E poi, si pone anche un altro ed ancor più serio problema: ed è quello della eventuale nocività della carne creata in laboratorio per la salute umana. Il fatto che, ad esempio, in un ristorante di Singapore, in cui vengono serviti alcuni piatti a base di carne “in vitro”, sia richiesto al consumatore di firmare una manleva che esclude ogni responsabilità del ristoratore per addirittura cinque anni, induce a credere che, al momento, nessuno possa ancora serenamente mettere la mano sul fuoco circa la salubrità di questi alimenti.
In conclusione, è bello poter pensare ad un futuro in cui anche chi, per ragioni etiche, ha fatto una scelta vegetariana potrà rivedere il suo orientamento di fondo senza dover disturbare la propria coscienza. Meno bella sarebbe, invece, sicuramente la sorte delle migliaia di allevatori che vedrebbero svanire nel nulla le loro attività: tuttavia, stiamo parlando di una svolta che, pur essendo epocale, non è affatto cosa di domani mattina. Non manca, quindi, il tempo necessario per gestire il passaggio delle consegne nel modo meno traumatico possibile. D’altra parte quante sono le figure professionali che il progresso economico e tecnologico hanno reso obsolete? Dove è finito, ad esempio, il vecchio postiglione che guidava la diligenza con l’arrivo dei più moderni mezzi di locomozione?
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