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A cura di Daniele Biacchessi
A Casteldaccia, in provincia di Palermo, cinque operai sono morti mentre facevano la manutenzione di un impianto di sollevamento delle acque reflue in contrada Corvo. Un sesto lotta fra la vita e la morte in ospedale e tre sono sotto shock. È morto per avvelenamento Epifanio Alsazia, 71 anni, trovato all’interno della cisterna interrata profonda sei metri. Con lui c’erano tre suoi dipendenti: Ignazio Giordano, 57 anni, Giuseppe Miraglia, 47 anni, Roberto Raneri, 51 anni. La quinta vittima è Giuseppe La Barbera, un operaio interinale dell’Amap, la partecipata del Comune di Palermo che è proprietaria dell’impianto.
La strage si poteva evitare
I cinque operai sono morti in un ambiente saturo di idrogeno solforato, un prodotto di fermentazione dei liquami, altamente tossico, la cui presenza era prevedibile, e non hanno avuto scampo. Le testimonianze raccolte dopo la strage sono inequivocabili, e ripetono quelle di un film già scritto in molti altri luoghi d’Italia, da Firenze all’impianto Enel di Suviana. “Li hanno mandati a morire”, dice un soccorritore, tra i primi arrivati a Casteldaccia. Una cosa è certa: non avevano alcun dispositivo di protezione. “Se fossero state prese tutte le precauzioni del caso, se gli operai avessero avuto le maschere protettive e i presidi necessari, tutto questo non sarebbe successo”, ha detto il comandante provinciale dei vigili del fuoco di Palermo, Girolamo Bentivoglio Fiandra.
L’assenza di risposte politiche
Gli ispettori sono 49, ce ne vorrebbero almeno 280. Resta inapplicato l’accordo con l’Ispettorato nazionale per l’invio di professionisti nella Sicilia. Il 10 maggio 2023, il governatore della Sicilia Renato Schifani aveva formalmente promesso di “mettere personalmente mano” all’annoso problema della mancanza di controlli sui luoghi di lavoro nell’Isola, per mancanza del personale che li faccia. Un anno e decine di morti sul lavoro dopo, nulla si è mosso.
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