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La 29esima Conferenze delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (appena conclusa a Baku), si è svolta in un clima di so-stanziale rassegnazione rispetto alla frustrante irrilevanza dei suoi contenuti, vista anche la mancata partecipazione ai lavori di tutti i grandi della Terra, evidentemente molto più attratti da quel contemporaneo G20 di Rio, in cui i temi ambientali non hanno certo conosciuto le luci della ribalta. E magari, a livello di grandi istituzioni internazionali, coordinare un po’ meglio i calendari delle varie iniziative globali non guasterebbe affatto… Ricordiamo, comunque, che l’argomento centrale di questa snobbata Cop 29 verteva sugli approvvigionamenti finanziari necessari per facilitare le transizioni energetiche, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.
Dalla Conferenza è emerso che per centrare certi ambiziosi obbiettivi occorrerebbe la bellezza di un trilione di dollari: e, per maggiore chiarezza, stiamo parlando di oltre mille miliardi di biglietti verdi che, possiamo immaginare, non saranno poi così facili da mettere insieme…
Ma le note meno confortanti non sono, forse, nemmeno quelle inerenti l’improbabile manovra finanziaria che andrebbe affrontata, quanto quelle che riflettono, invece, il mutato atteggiamento – da parte di importanti economie planetarie – nei confronti dei percorsi da seguire verso una transizione ecologica che, al momento, appare sempre meno concreta.
A parte l’Argentina che, nella persona del suo pirotecnico presidente, Javier Millei, ha addirittura usato il palcoscenico di Baku per negare che il cambiamento climatico sia un problema reale, le maggiori preoccupazioni sono, senza dubbio, quelle che ha de-stato la decisione dell’India di non utilizzare più fonti di energia rinnovabili, tornando – per sostituirne il contributo – al vecchio (e ben poco “green”) carbone… Un passo indietro davvero allarmante – sul piano del controllo delle emissioni – da parte di un Paese, le cui prospettive di crescita, da qui alla fine del 2027, sono calcolate nella misura dell’8% annuo. Ed anche la Cina, sebbene abbia recentemente diminuito il suo consumo di carbone, resta, comunque, refrattaria all’accettazione di qualsiasi limite alle produzioni di CO2.
Cina, Stati Uniti e India, da soli, costituiscono il 43% delle emissioni mondiali, mentre la nostra Unione Europea, encomiabilmente prima della classe nel campo delle politiche ecologiche, presenta un dato complessivo che non va oltre il 6%… Un risultato che, indubbiamente, la premia sul terreno della responsabilità e della consapevolezza dei doveri che ogni Paese dovrebbe osservare pensando al futuro del Pianeta, ma che, purtroppo, dovrà adesso cominciare a fare seria-mente i conti anche con le varie Volkswagen, Stellantis o Mercedes che annunciano chiusure di stabilimenti e tagli all’occupazione.
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