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A cura di Daniele Biacchessi
La vittoria di Marco Marsilio e del centrodestra in Abruzzo è netta, chiara. Dimostra che la maggioranza, pur con qualche scricchiolio a livello nazionale, in alcuni territori quando si presenta agli elettori in modo compatto, coeso, alla fine si impone. Per Luciano D’Amico, ex rettore di Teramo sostenuto dai partiti dell’intera opposizione nazionale, è mancato l’effetto Sardegna sul voto regionale abruzzese. Il candidato del campo largo era anche di buona qualità, ma la coalizione che lo ha scelto non rappresenta un progetto politico compiuto, ma un cartellone elettorale unito in Abruzzo e totalmente diviso in Parlamento, dove i suoi leader Schlein, Conte, Calenda, Renzi marciano su strade diverse su temi importanti come la guerra, l’economia, lo sviluppo del Paese. Marco Marsilio ha fatto dimenticare alcuni errori soprattutto su sanità e lavoro e ha ricompattato sul suo nome l’intero centrodestra e il suo elettorato. Sul piano del peso politico delle coalizioni, Fratelli d’Italia è primo partito con il 24,1% delle preferenze, seguito da Partito Democratico al 20,4%, Forza Italia al 13,2% che doppia la Lega di Salvini ferma al 7,8%, M5s al 6,6% il cui apporto alla coalizione del campo largo è stato residuale, così come non sono risultati determinanti per D’Amico Azione, Italia viva, Alleanza Verdi Sinistra. Le province di L’Aquila, Chieti e Pescara vanno al centrodestra, mentre al campo largo resta solo Teramo.
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