ì
A cura di Ferruccio Bovio
Sinceramente, ci è parso veramente molto strano, fin dall’inizio, che l’esercito israeliano potesse aver bombardato intenzionalmente l’ospedale di Al Ahili a Gaza proprio alla vigilia del viaggio di Biden in Medio Oriente. Certo, l’errore umano è sempre nell’ordine naturale delle cose che possono succedere, ma, al di là di questa eventualità, è difficile credere che questi Ebrei – oltre ad essere “deicidi” ed avvelenatori di pozzi – siano poi anche davvero così fessi da offrire su un piatto d’argento un argomento talmente scioccante alla propaganda araba e, soprattutto, a quei media occidentali che, da sempre, non vedono l’ora di poter disporre di un qualche pretesto interessante per poter denunciare un crimine di Israele. Un crimine che, tra l’altro, proprio in questo momento, sarebbe risultato addirittura provvidenziale per distogliere, in qualche modo, l’attenzione delle nostre opinioni pubbliche dai crimini che, invece, sono stati effettivamente commessi sabato 7 ottobre.
E infatti, pressoché tutti i nostri mezzi di informazione – tranne ci pare la lodevole eccezione de “Il Foglio” – non hanno esitato neanche un attimo ad attribuire la responsabilità di quanto tragicamente avvenuto ad un bombardamento israeliano, accettando acriticamente (o privilegiando) la versione dei fatti che veniva data da quella fonte cristallina di notizie veritiere che si chiama Hamas.
Ora, l’atteggiamento pregiudizialmente anti-israeliano delle società europee non lo scopriamo certamente in queste ore, ma ci stupisce il fatto che sia anche così profondamente radicato da far perdere completamente la testa persino a chi gestisce giornali e televisioni. Chi, senza neanche farsi scrupolo di usare il condizionale, ha pubblicato titoli che davano per scontata la ferocia israeliana dietro le cinquecento vittime che sarebbero rimaste sotto le macerie dell’ospedale, non si è, infatti, minimamente preoccupato di ascoltare anche la versione fornita da Tel Aviv e, soprattutto, di analizzare seriamente le documentazioni audiovisive prodotte a suo sostegno. E stiamo parlando di una disparità di valutazioni che, già in passato, è stata capace di produrre alcune macroscopiche brutte figure sul piano della professionalità giornalistica. Esattamente come sta succedendo oggi con i nostri media che, sebbene senz’altro a malincuore, man mano che la ricostruzione dei fatti diventa meno propagandistica, stanno cominciando ad ammettere che “forse si è trattato di un missile palestinese sparato male”, che l’ospedale è rimasto intatto nella sua struttura perché ad essere colpito è stato, invece, il posteggio circostante e che i morti non sono 500, ma al massimo 50…Ed a questo proposito, ci viene in mente l’ingresso dell’esercito israeliano a Jenin nel 2002: anche allora, fu subito presa per buona la narrazione dell’Autorità Nazionale Palestinese che parlò di migliaia di morti che poi, in realtà, a conteggi ultimati, risultarono essere 53. Sia chiaro, se anche si fosse trattato soltanto di uno, ci saremmo, comunque, sicuramente trovati di fronte ad un evento tragico e deplorevole, ma non c’è dubbio sul fatto che, in quanto ad ingigantire le cose, la propaganda anti israeliana, da Gaza a Roma, abbia ben pochi rivali.
Andiamo un attimo, in conclusione, a leggere lo Statuto di Hamas nella parte in cui, all’art.7, recita testualmente “l’Ultimo Giorno non verrà, finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: o musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo…”. Siamo, quindi, in presenza di un pregiudizio fanaticamente religioso che non lascia alcuno spazio alle intenzioni dei cosiddetti “uomini di buona volontà” che parlano di “due stati e due popoli”. Non mi importa se sei disposto a concedermi più di quanto io stesso potessi immaginare…io ti uccido perché sei ebreo. Del resto, nessuno è mai riuscito a spiegare al mondo per quale ragione Arafat, nel 2000, rifiutò di firmare i famosi accordi di Camp David, attraverso i quali, con la mediazione del presidente Clinton, il premier israeliano di allora, Ehud Barak, aveva offerto alla controparte palestinese tutti i territori contenuti nella Striscia di Gaza, il 91% dell’area della Cisgiordania e l’amministrazione palestinese sulla parte Est di Gerusalemme. Fu una scelta – quella di Arafat – che stupì la diplomazia internazionale, poiché Barak era venuto incontro a tutte le richieste ufficiali dei Palestinesi. Richieste evidentemente pretestuose e che, non a caso, sono rimaste le stesse fino ad oggi.