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A cura di Ferruccio Bovio
La manovra finanziaria del Governo sarà certamente criticabile (come lo sono tutte le cose umane), ma non è il caso di osservarla servendoci esclusivamente della lente del pregiudizio. In fondo, va ad inserirsi in un percorso di continuità rispetto all’esecutivo Draghi, nella parte in cui evita di fare scostamenti di bilancio (che avrebbero messo in allarme i mercati finanziari, aumentando lo spread) ed in quella in cui sceglie, comunque, di destinare 13 dei 21 miliardi di spesa disponibili all’emergenza bollette. Sui circa otto miliardi di manovra restanti, il governo Meloni ha optato per una serie (non troppo ampia) di piccoli interventi che anche se non seguono una linea di politica economica omogenea, cercano tuttavia di non scontentare troppo né le imprese e né i lavoratori. Comunque, ci pare apprezzabile il fatto che questa manovra non si sia dispersa nel dare risposte a centinaia di micro richieste, ma si sia, invece, concentrata sul problema dei problemi che, al momento, è quello del contenimento dei costi dell’energia per famiglie e imprese. Ed a questo proposito, bisogna riconoscere che l’apporto fornito dall’intervento pubblico non è poca cosa, come del resto sembrano testimoniare anche gli indici del clima di fiducia rilevati dall’ Istat per il mese di novembre, i quali sono sorprendentemente tutti in rialzo: quello dei consumatori sale da 90,1 registrato a ottobre a 98,1; quello delle imprese passa da 104,7 a 106,4, facendo segnare un’autentica inversione di tendenza rispetto ai quattro mesi precedenti.
Pertanto, definire il piano presentato da Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti “massacro sociale”- come ha fatto Giuseppe Conte – risulta alquanto azzardato, se non addirittura completamente falso. Se andiamo, ad esempio, a vedere cosa prevede il Governo in merito a quel reddito di cittadinanza che rappresenta il cavallo di battaglia dell’ex premier, ci accorgiamo che, per il 2023, la manovra ritaglia un risparmio di 470 milioni su 8 miliardi di spesa, da ottenersi attraverso graduali provvedimenti restrittivi che coinvolgeranno solamente un terzo degli attuali percettori. In pratica ed in attesa che intervengano (se mai arriveranno) nuove riforme preannunciate per il 2024, per ora il reddito di cittadinanza viene modificato soprattutto a parole, dovendo pure i partiti di governo inventarsi qualcosa per salvare la faccia, dopo una campagna elettorale condotta prendendosela con quei “fannulloni sul divano” che se la spassavano tranquillamente in casa loro facendosi beffe dello Stato… Così come – sempre nella manovra – restano sostanzialmente ignorati i grandi temi delle riforme del fisco e delle pensioni che vengono, ancora una volta, rinviate ad un futuro che noi ipotizziamo piuttosto lontano. D’altra parte, ribadiamo che siamo in presenza di una manovra che viene, inevitabilmente, condizionata da una spinosissima situazione di emergenza energetica e di ristrettezze finanziarie. Manca di coraggio? Si poteva osare un pochino di più relativamente al cuneo fiscale? Forse si, ma dobbiamo dare atto al Governo del fatto che non era affatto facile varare una manovra finanziaria che, nella sostanza, rinuncia, sia pure facendo finta di niente, a mantenere gran parte delle demagogiche promesse con cui aveva sedotto la maggioranza degli elettori italiani, durante la campagna per il voto del 25 settembre…
Adesso però, Giorgia Meloni è attesa ad un banco di prova che per lei potrebbe rivelarsi se non proprio un Vietnam, almeno una passeggiata su un terreno molto scivoloso: e stiamo pensando al dibattito che, a breve, si svolgerà in Parlamento. E’ in quella sede, infatti, che, soprattutto da Lega e Forza Italia, potrebbero arrivare insidiosi agguati: infatti, dalle pensioni minime che, con buona pace di Berlusconi, non sono affatto salite a mille euro, alle cartelle esattoriali che Salvini aveva assicurato di voler cancellare fino ai tremila euro, le occasioni per fare qualche sgradita sorpresa alla neo Presidente del Consiglio non mancherebbero di sicuro. Certo, il Governo, come extrema ratio, ha sempre la possibilità di porre alle Camere la fiducia su un testo onnicomprensivo che non consenta alcuna modifica, ma si tratterebbe, comunque, di un gran brutto iniziare.