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Onestà intellettuale e settarismo politico | Il Punto della Settimana

today20 Luglio 2025

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La politica – diceva il vecchio ministro socialista, Rino Formica – “è sangue e m…”, aggiungendo una parola volgare che voi potete immaginare, ma che noi preferiamo evitare di scrivere. E’ più che normale, quindi, che i partiti di opposizione a qualsiasi governo sfruttino tutte le occasioni possibili e immaginabili per denunciare incapacità, limiti e manchevolezze dell’esecutivo che intendono contrastare. Tuttavia, almeno quando sono veramente chiamati in causa i massimi interessi del Paese, un minimo di onestà intellettuale non guasterebbe affatto. E, nello specifico, ci stiamo riferendo agli atteggiamenti pregiudizialmente censori assunti da PD, 5 Stelle ed altre formazioni minori, in merito alla linea politica seguita da Giorgia Meloni in materia di dazi trumpiani. Alla premier sono, infatti, tutti pronti a rinfacciare il fallimento di una strategia ispirata al più fantozziano dei servilismi nei confronti della Casa Bianca, unitamente ad una completa assenza di autorevolezza a livello internazionale. Venga, quindi, in Parlamento – se ha il coraggio di farlo – la Meloni a riferire “su una situazione che le è completamente sfuggita di mano” ed assuma, finalmente – chiede Elly Schlein – “una presa di posizione netta e forte, che fin qui non c’è stata”. Tutto benissimo, se però qualcuno di lor signori si degnasse di spiegarci in che cosa dovrebbero mai consistere queste fantomatiche opzioni alternative, in grado di tutelare con maggiore efficacia sia gli interessi economici, che la dignità morale ed istituzionale del Paese. Avrebbe, forse, dovuto Palazzo Chigi consegnare una nota di protesta all’ambasciatore americano? Promuovere il boicottaggio dei prodotti made in USA? Oppure andare a Bruxelles a perorare – nell’isolamento quasi generale – la via suicida dei “dazi contro dazi”, costi quello che costi? Voi li vedete Conte, Schlein o Fratoianni che, per giocare con Trump al celodurismo di bossiana memoria, finiscono per impantanare le nostre esportazioni nelle sabbie mobili dei dazi al 60 per cento? Noi, francamente, no…
Giorgia Meloni, in questo primo semestre di Amministrazione Trump, ha certamente cominciato a comprendere quanto possa risultare gravoso il compito – che inizialmente si era data – di fungere da ponte tra l’Unione Europea ed il suo presunto amico di Washington. Amico che inoltre, alla prova dei fatti – come del resto dimostra anche l’esito del suo sodalizio con Elon Musk – non è che, in definitiva, si sia poi rivelato un tipo tanto capace di sincere gratitudini… E’ più che normale, quindi, che, per evitare di ustionarsi in maniera irreversibile in un gioco in cui forse hanno tutti soltanto da perdere, Meloni abbia preferito lasciare ad altri certi inutili protagonismi, per limitarsi, invece, ad intervenire – con suggerimenti sempre improntati alla prudenza ed alla percezione dei pericoli – direttamente sulla presidenza della Commissione europea, che, tra l’altro, è anche la sola istituzione realmente abilitata a condurre trattative in materia di barriere doganali. E su questo punto, Giorgia Meloni è stata assolutamente ferma anche nei riguardi di qualche suo vice premier che va sostenendo che l’Italia sia “in una posizione che le può permettere di dialogare con gli Stati Uniti”. Ovviamente – aggiungiamo noi – scavalcando l’Europa e aprendo un dialogo bilaterale con Trump che certamente, fin da subito, farebbe tanto comodo a chi ha in mente di affondare Bruxelles, ma non certo alla nostra economia nel medio/lungo periodo… Ma “il negoziato si fa con l’Europa”, ha detto Meloni, zittendo così ogni genere di velleità e di fantasticheria geo politica. Non è, dunque, questa una posizione sufficientemente chiara, signori della corte di opposizione?
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