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A cura di Ferruccio Bovio
Il furore iconoclasta che, sulla spinta della cosiddetta “cancel culture”, sta imperversando su quasi tutto l’Occidente, ha finito per occuparsi persino del “Padre Nostro”: e vale a dire, della preghiera cristiana più antica ed universalmente riconosciuta proprio come quella tramandataci personalmente dallo stesso Gesù Cristo. A sollevare il caso, non è però stata – come si potrebbe immaginare – un’associazione di intransigenti atei dissacratori, ma molto più sorprendentemente l’arcivescovo anglicano di York, il quale ha osservato come il testo recitato dai credenti di tutto il mondo affondi, indiscutibilmente, le sue radici in un humus culturale anacronistico e, comunque, troppo legato a concezioni patriarcali e maschiliste.
E in effetti, il “Pater Noster” si rivolge direttamente ad un Padre e non ad una madre o ad un genitore A oppure B…
L’alto prelato inglese, Stephen Cottrel, ritiene che la parola “padre” sia “problematica per coloro la cui esperienza con i padri è stata distruttiva o abusiva e per tutti noi che abbiamo operato secondo una visione tradizionale oppressivamente patriarcale”. A condividere l’opinione del reverendo Cottrel è soprattutto la componente femminile del clero anglicano, dalla quale, in più di un’occasione, è stato, infatti, domandato se veramente Dio pensi che gli esseri umani maschi riflettano la Sua immagine in modo più completo e accurato rispetto a come possano farlo le donne. Ovviamente no, si rispondono le diacone e le pastore d’Oltremanica.
Intanto, sembra stia per essere costituita, tra i vescovi, una commissione specifica per individuare i criteri idonei alla definizione di un linguaggio di genere più politicamente corretto, con particolare riferimento all’uso dei pronomi personali da usarsi quando si parla di Dio: lui, lei o un neutro? Ma il mondo anglicano è agitato anche da altre questioni attinenti le parità di genere ed i diritti di chi non è etero: ad esempio, in autunno, si terrà una Convocation (assemblea generale) dei vescovi, che sarà chiamata a decidere se debba confermarsi o meno il divieto per il clero di coltivare relazioni omosessuali.
Noi, per parte nostra, ci permettiamo di suggerire all’arcivescovo di York che il Pater Noster – a voler ragionare secondo una certa logica oggi di moda – presenta note stonate non soltanto nel suo incipit, ma anche nel suoi passaggi successivi. Ha riflettuto, Stephen Cottrel, sul fatto che la nostra vecchia e cara preghiera, mostra i segni del tempo anche sul piano politico e istituzionale? Perché si auspica che “venga il Tuo Regno” e non una molto più moderna e democratica repubblica parlamentare? E quel richiamo alla Sua volontà, senza prevedere alcuna possibilità di sostenere un civile ed equilibrato contraddittorio? Se poi ci allarghiamo un po’ più in là nel Vangelo, che dire della “moltiplicazione dei pesci” che non tiene conto delle recentissime sensibilità vegane o del vino bevuto nell’Ultima Cena, in così palese contrasto rispetto alle attuali disposizioni del Codice della Strada?