
4mila aerei;
45mila jeep;
3mila mezzi anfibi;
12mila blindati da combattimento;
136mila pezzi di artiglieria leggera;
140 cacciatorpedinieri;
35mila postazioni radio;
2mila locomotive e 10mila vagoni;
5 milioni di tonnellate di derrate alimentari per salvare la popolazione dalla fame;
14 milioni di scarponi.
No, non è la letterina inviata da Zelensky a Babbo Natale, ma è, invece, l’impressionante fornitura militare che, a partire dall’11 marzo del 1941 (cioè ben 9 mesi prima che gli Stati Uniti entrassero in guerra), il Presidente Roosvelt decise di mettere a disposizione dell’Unione Sovietica, emanando il provvedimento noto come “Land Lease act” che, tra l’altro, consentiva ai Paesi beneficiari di estinguere, comodamente, il loro debito monetario in trent’anni. Debito al quale il Cremlino farà poi fronte soltanto nella striminzita misura del 10%.
Naturalmente, nel corso della parata militare celebrativa dell’ottantesimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista, Vladimir Putin si è ben guardato se non dal ringraziare – non pretendiamo tanto – almeno dal fare un minimo cenno storico anche a quell’America che pure aiutò non poco Stalin a non soccombere del tutto dinanzi alla sfuriata iniziale di Hitler…Anzi, figuriamoci, è stata l’Armata Rossa a fare tutto da sola e a liberare l’Europa dalla “peste bruna”…Ed a questo proposito, sarebbe magari interessante andare anche a chiedere ai Paesi del Patto di Varsavia quanto si siano realmente sentiti liberi per oltre quarantanni…
Anche venerdì scorso, quindi, l’immancabile e tradizionale “smemoratezza” del 9 maggio ha finito per avvolgere, nella sua tendenziosa vulgata di stampo nazionalista, tutti i cortei e le sfilate che si sono svolti in Russia.
Ovviamente, qui nessuno intende disconoscere l’impressionate tributo di vite umane (almeno 20 milioni di morti) eroicamente fornito alla causa anti nazista dall’Unione Sovietica: tuttavia, stupisce abbastanza il fatto che, per registrare le prime storiche ammissioni sugli aiuti ricevuti in tempo di guerra, si siano dovute aspettare le memorie di Kruscev o l’intercettazione, da parte del KGB, di una telefonata del 1963, nella quale il mitico maresciallo Zukov ammetteva testualmente che “senza gli americani non avremmo vinto la guerra”.
Ma c’è anche un altro aspetto della cosiddetta “Guerra Patriottica” sul quale Putin evita sempre e sistematicamente di soffermarsi: ed è quello che dovrebbe riportalo indietro a quel 23 agosto del 1939 – sei anni prima cioè, del glorioso 9 maggio 1945 – in cui Hitler e Stalin firmarono il famoso “patto decennale di non aggressione”, che conteneva, come è noto, anche un “protocollo segreto” nel quale si stabiliva la spartizione della Polonia tra Mosca e Berlino. Non aspettiamoci però che sia l’attuale leader del Cremlino – con tutto il bagaglio di sogni di restaurazione zarista che si porta dietro – a riconoscere che se, se alla fine del conflitto, l’URSS si trovò dalla parte giusta della storia, il merito vada attribuito esclusivamente al caso. Infatti, senza il tradimento di quel patto della vergogna da parte di Hitler, Stalin, con ogni probabilità, se ne sarebbe rimasto tranquillamente in disparte a godersi lo spettacolo dei Paesi capitalisti in guerra tra di loro, in attesa di trarne i suoi vantaggi…
Mancano, quindi, due capitoli fondamentali per completare seriamente il racconto della “Grande Guerra Patriottica”. Ma sono capitoli che la Russia di oggi non intende affatto inserire nelle sue narrazioni, mentre i putiniani di casa nostra si rifiutano ostinatamente di leggerli o spesso ne ignorano addirittura l’esistenza.
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