
Ad ormai una settimana dai referendum che, come forse era prevedibile, non hanno neppure sfiorato il raggiungimento del quorum, ci sembra di poter tranquillamente affermare che, se qualcuno li aveva organizzati sperando di potersi poi spendere i “si” o i “no” come se fossero voti raccolti dal proprio partito (o, comunque, dall’alleanza elettorale alla quale ritiene di appartenere), ha dato prova di non avere le idee abbastanza chiare. E’ vero che i referendum si indicono per contarsi, tuttavia il confronto, di regola, dovrebbe avvenire su un determinato tema e non per rivendicare un ipotetico consenso politico da parte di chi, diligentemente, si è recato ai seggi anche in presenza di una bella domenica di inizio estate. Pertanto, chi si era illuso di strumentalizzare questa consultazione referendaria ha finito, in realtà, per prendere un’autentica facciata, dal momento che, soprattutto su questioni complesse come erano quelle proposte da Landini, per provare a capirci qualcosa, i cittadini avrebbero dovuto sorbirsi almeno un arido testo universitario di Diritto del Lavoro… e così l’astensione si è saldata con i voti della destra… Pertanto, se questa doveva essere la campagna elettorale di Landini per la guida del centrosinistra, bisognerà che il pur simpatico sindacalista emiliano cominci a ridimensionare le proprie ambizioni… Il mondo del lavoro discute oggi di intelligenza artificiale, di come aumentare produttività o stipendi e non di come ripristinare uno “status quo ante”, rispetto ad una norma come il Jobs Act che, tra l’altro, da quando ha iniziato a funzionare, ha prodotto circa un milione e mezzo di occupati in più.
In merito, invece, al quesito referendario sulla cittadinanza, non si è, probabilmente, fatto abbastanza per spiegare alla gente che non le si chiedeva di concederla indiscriminatamente anche agli immigrati irregolari, ma che, invece, l’opportunità era destinata a chi ha già un lavoro, una residenza stabile e paga anche le tasse allo Stato italiano. Si è, quindi, votato in un clima di confusione, nel quale, sullo sfondo, il tema della sicurezza ha giocato, senz’altro, un ruolo fondamentale nella distribuzione dei voti che, non a caso, hanno registrato una percentuale sorprendentemente alta di orientamenti contrari. A questo punto, il flop del quesito cittadinanza rischia, malauguratamente, di allontanare nel tempo la soluzione di un problema che pure meriterebbe di essere adeguatamente disciplinato: il fatto è che, d’ora innanzi, per chi la pensa come Salvini, diventerà molto più facile stoppare sul nascere ogni iniziativa parlamentare ad hoc, argomentando che tanto, su certe questioni, gli Italiani si sono già espressi…
In conclusione, ci pare che l’istituto referendario, se lo si intende salvare, vada assolutamente riformato, aumentando considerevolmente il numero delle firme necessarie da raccogliere per ottenere l’omologazione: a meno che non ci si voglia rassegnare ad essere chiamati a votare – magari anche ripetutamente nell’arco di uno stesso anno – ogni volta che un qualsiasi capriccio vada ad impossessarsi della mente o delle aspirazioni del politicante di turno. In passato, gli Italiani hanno già risposto alle chiamate referendarie, accorrendo in percentuali che toccavano o superavano addirittura il 90%: ma erano domande chiare, secche, precise, inequivocabili e, soprattutto, alla portata di ogni livello culturale: vuoi la monarchia o la repubblica? Vuoi il divorzio o non lo vuoi? E il nucleare, ti fa davvero tutta questa paura?
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