
Referendum, eredità della Costituzione, partecipazione.
Un giorno ebbi l’occasione di intervistare Tina Anselmi, prima ministra donna, esponente democristiana, presidente della Commissione P2, staffetta durante gli anni della lotta di Liberazione. Le chiesi qual era la sua eredità politica. Mi rispose così: ” Il valore più importante resta la partecipazione. Battersi perché questa libertà permanesse nel tempo, per le generazioni a venire, a futura memoria”. Si riferiva alla Resistenza e a quella partecipazione negata dal fascismo e che esponenti politici di Governo e delle istituzioni vorrebbero escludere con la campagna di astensione per il referendum dell’8 e 9 giugno sui diritti del lavoro e sulla cittadinanza.
L’astensione e il potere del voto.
In generale penso male dell’astensionismo nelle consultazioni elettorali, anche se rispetto chi, deluso dalla rappresentanza politica, dai partiti, preferisce andare al mare. Ogni volta che preferiamo voltarci da un’altra parte, siamo già sconfitti. Figuriamoci quando a chiamarsi fuori dalla competizione politica sono membri delle istituzioni. Almeno in teoria, l’invito a disertare le urne è in contrasto con l’art. 48 della Costituzione e con l’art. 98 del testo per l’elezione della Camera che vieta di indurre gli elettori all’astensione. I presidenti di Regione Eugenio Giani (Toscana), Michele De Pascale (Emilia-Romagna), Michele Emiliano (Puglia), Stefania Proietti (Umbria) e Alessandra Todde (Sardegna), chiedono, da punti di vista diversi, la partecipazione degli italiani al voto di giugno. Hanno ragione. Comunque la si pensi, qualsiasi sia la propria posizione, non esercitare l’arma del voto è già una sonora sconfitta dello Stato.
“Il Corsivo” a cura di Daniele Biacchessi non è un editoriale, ma un approfondimento sui fatti di maggiore interesse che i quotidiani spesso non raccontano. Un servizio in punta di penna che analizza con un occhio esperto quell’angolo nascosto delle notizie di politica, economia e cronaca.
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