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A cura di Ferruccio Bovio
Se c’è una cosa che, in questa prima fase del governo Meloni, ci ha sorpresi favorevolmente, è il posizionarsi su livelli davvero imprevedibili del tanto temuto spread che, proprio nella settimana che ci siamo appena lasciati alle spalle, ha fatto segnare un dato un più che rassicurante, attestandosi a 1,16 punti percentuali. Francamente, nell’autunno del 2022, eravamo più che convinti del fatto che – tra politiche di finanza allegra (da alcuni fatte balenare in campagna elettorale) e speculazioni internazionali prevenute nei confronti del neonato esecutivo di Destra – la stabilità finanziaria del nostro Paese sarebbe stata destinata a vivere momenti di alta tensione. Invece, le cose sono andate (e sembrano tuttora andare) in modo piuttosto soddisfacente, se è vero come è vero che persino l’autorevolissimo Financial Times si è scomodato per tracciare un parallelo tra la nostra economia e quella tedesca che, almeno per il momento, risulta premiare quella del Bel Paese. E non a caso, lo spread tra il costo di un prestito decennale tra le due maggiori economia manifatturiere del Continente si è ultimamente collocato sulla soglia minima più bassa degli ultimi due anni. Pertanto, lo stesso ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non ha mancato di evidenziare come, fino a poco tempo fa, ben pochi avrebbero potuto immaginare una tendenza così funzionale alla riduzione del deficit di bilancio. E’ presumibile, inoltre, che certi numeri non debbano mettere granchè di buon umore quegli avversari politici di Giorgia Meloni che, con una certa supponenza, avevano pronosticato per il suo governo una deriva di spese dissennate e di contrasti con l’Unione Europea. Invece, bisogna dare atto alla nostra premier di aver saputo finora gestire con oculatezza sia i conti del Paese, che i rapporti con quella che, inizialmente, era la diffidente burocrazia di Bruxelles: e non a caso, la Banca d’Italia prevede, per il 2024, una crescita del nostro PIL dello 0,6%, che non sarà certo entusiasmante, ma che è pur sempre superiore, ad esempio, a quella della Germania che oggi è stimata nella misura dello 0,4%.
Al momento, i titoli del nostro debito pubblico godono, quindi, di una certa fiducia da parte degli investitori (anche esteri), che evidentemente li percepiscono come l’espressione di un’economia solida e affidabile: basti pensare che una recente emissione sui mercati internazionali di BTP da 10 miliardi di euro ha ricevuto richieste addirittura per 155 miliardi. E si tratta, indubbiamente, di un risultato eccellente e, solo pochi mesi fa, ancora del tutto impensabile. Un risultato ottenuto, tra l’altro, in uno scenario economico globale che, di questi tempi, non lascia certamente spazio a facili e stimolanti ottimismi.
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