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A cura di Ferruccio Bovio
Il Consiglio dei Ministri, martedì scorso, ha adottato un testo di legge che mira ad impedire la produzione e l’importazione di cibi sintetici in Italia. Le motivazioni del provvedimento sono essenzialmente due: da un lato la tutela della salute e dall’altro la difesa del Made in Italy. Il Governo, così come del resto la premier Meloni aveva indicato già nel corso della sua campagna elettorale, è pertanto deciso a contrastare quel tipo di alimentazione di origine sintetica che pure in altri Paesi (tra i quali, soprattutto, gli Stati Uniti) risulta, invece, da alcuni anni, oggetto di studi approfonditi e di investimenti assai rilevanti. A preoccupare è principalmente la creazione di carni in laboratorio: pratica che ha già cominciato a fornire i suoi primi confortanti risultati e che, dopo aver ottenuto il nulla osta da parte della Food and Drug Administration americana, potrebbe adesso, da un momento all’altro, ricevere pure il placet dell’EFSA (l’Autorità per la Sicurezza Alimentare europea). Ecco perché l’esecutivo Meloni ha scelto di giocare d’anticipo vietando la circolazione di questi prodotti sintetici e prevedendo sanzioni pecuniarie molto elevate (fino al 10% del fatturato aziendale) per chi li importa o li produce. In questo modo, il ministro per la Sovranità Alimentare, Francesco Lollobrigida, ha potuto orgogliosamente proclamare che l’Italia era la prima Nazione “libera dal rischio di avere cibi sintetici”, salvaguardando così la salute dei suoi cittadini: anche se lo scopo fondamentale di questa normativa a noi sembra essere quello – ovviamente più che legittimo – di difendere la produzione agroalimentare Made in Italy, con particolare riferimento al comparto degli allevamenti di animali. E stiamo parlando di un settore (quello, appunto, delle carni e del latte) che dà lavoro complessivamente a 300mila addetti e genera annualmente un valore economico di circa 50 miliardi di euro: pari cioè al 25% dell’intero fatturato del nostro agroalimentare che, a sua volta, vale 200 miliardi e corrisponde al 2,5% del Pil italiano. Tuttavia, a voler essere pignoli, bisognerebbe anche suggerire al Ministro che, proprio nel settore della produzione delle carni, parlando di sovranità alimentare dell’Italia si rischia di dire qualcosa di inesatto, dal momento che – se si esclude l’avicoltura – in tutti gli altri rami produttivi si registra sovente una chiara dipendenza dalle importazioni estere. Ed a questo proposito, andando ad esaminare i dati pubblicati dall’ISMEA, si scopre subito che il nostro Paese esporta 147mila tonnellate di carne bovina, ma ne importa circa 374mila, dando luogo ad un saldo della bilancia commerciale che è tra i più negativi tra le filiere agricole, risultando nel 2021 in passivo di -2,48 milioni di euro.
Come hanno sottolineato alcune tra le principali Associazioni nel nostro comparto agroalimentare, la politica si trova attualmente a dover decidere su un fenomeno del tutto nuovo e socialmente delicato come quello del cibo sintetico che, per la prima volta nella storia dell’umanità, interrompe l’atavico rapporto tra alimentazione e agricoltura, relegando nel dimenticatoio sia gli allevatori, che i pescatori. Inoltre, sempre secondo gli operatori italiani, gli effetti di questi alimenti sulla salute dei consumatori non sarebbero ancora stati chiariti a sufficienza. E ad essere obbiettivi, chi può escludere, nella maniera più assoluta, l’eventuale presenza di qualche rischio per la nostra salute nella carne sintetica? Certamente esiste però, un rischio di altra natura, ma ben più concreto e ravvicinato: quello cioè rappresentato dalla crisi alimentare che, complice anche la guerra in seno all’Europa, potrebbe presto prevalere, inesorabilmente, su ogni altro tipo di considerazione protezionistica o commerciale, obbligandoci a domandarci se, ad esempio, sia veramente il caso di continuare a diffidare delle coltivazioni ogm, nonostante queste rivelino, normalmente, rese superiori ed a minor costo rispetto alle tradizionali. Il tutto, tra l’altro, in nome di un salutismo pregiudiziale che magari, per evitare un caso di irritazione cutanea su centomila, lascia irresponsabilmente morire di fame milioni di persone in ogni angolo del Pianeta.
Quanto poi alla carne ottenuta in laboratorio, sul piatto della bilancia si pone – almeno in una prospettiva di lungo termine – anche l’aspetto ecologico e morale legato alla fine degli allevamenti intensivi, dalla quale a trarre giovamento non sarebbero soltanto il benessere degli animali o i livelli di inquinamento atmosferico, ma anche la serenità di chi, pur essendo animato da una sensibilità animalista, stenta ancora a privarsi di una buona bistecca.