ì
A cura di Ferruccio Bovio
Con il gas che viaggia intorno ai 65 euro al megawattora possiamo dire di esserci riavvicinati di molto alle quotazioni che si registravano nel periodo pre – pandemico. Tutto bene, quindi, purché non ci si lasci affascinare troppo da ingannevoli illusioni capaci di orientare nuovamente il nostro Paese verso la conferma del modello energetico conosciuto negli ultimi decenni: magari positivamente aggiornato da investimenti effettuati nel campo delle energie rinnovabili, ma pur sempre basato sull’apporto decisivo del gas. Decisivo soprattutto per garantire livelli energetici sempre adeguati alle esigenze di famiglie ed imprese, colmando così, attraverso il suo utilizzo, le lacune dovute a quella intermittenza che è tipica dell’eolico e del solare. Speriamo, infatti, che l’Italia non commetta l’errore di pensare che, grazie ai rigassificatori ed al perfezionamento della rete dei metanodotti, i suoi problemi di approvvigionamento siano ormai definitivamente archiviati, poiché si tratterà, anche in futuro, di gas che sarà, comunque e sempre, importato. E, di conseguenza, temiamo che la nostra indipendenza energetica sia destinata a rimanere condizionata da fattori che, in larga misura, continueranno a dipendere dagli atteggiamenti produttivi e commerciali di altri Paesi. Inoltre, l’attuale abbassamento della quotazione del gas è dovuto ad una serie di concause, quali le temperature di un inverno finora particolarmente mite ed il calo della domanda da parte dell’industria più energivora. Dobbiamo, quindi, essere consapevoli del fatto che, nel momento in cui certe attività ripartiranno a pieno ritmo, anche i prezzi del gas torneranno a salire rapidamente. Pertanto, se potessimo parlare con chi occupa attualmente le stanze di Palazzo Chigi, ci permetteremmo di suggerirle non solo la diversificazione – che già avviene – delle fonti dalle quali acquistiamo oggi il gas, ma anche quella che riguarda il vero e proprio mix energetico, ridimensionando sensibilmente la portata del gas, a vantaggio di altre risorse in grado di integrare le lacune delle rinnovabili. E stiamo parlando – pronunciamola pure la parola “incriminata” – di quel nucleare di cui siamo, praticamente, l’unico Paese industrializzato che si ostina ancora a voler fare a meno…
Un’altra questione che ci pare andrebbe affrontata con maggiore concretezza è quella che concerne lo stato del nostro servizio Sanitario Nazionale il quale, come è noto, ha subito negli ultimi anni dei bruschi tagli nei finanziamenti. Tagli che ne hanno, inevitabilmente, ridotto l’efficienza e l’aggiornamento: basta, infatti, avere la sfortuna di doversi recare in un pronto soccorso per essere costretti a fare i conti con liste lunghissime di pazienti in attesa di un intervento medico o con reparti che non dispongono di un numero sufficiente di letti.
I dati che ci è capitato di leggere, spiegano che al Servizio Sanitario Nazionale mancano 20.000 medici e 60.000 infermieri che, demotivati da stipendi poco remunerativi, finiscono per trasferirsi all’estero dove le retribuzioni sono più gratificanti.
Tra l’altro, un servizio pubblico inadeguato rappresenta anche una inaccettabile ingiustizia sociale, poiché è evidente che ad esserne penalizzati sono soprattutto quei cittadini che non hanno la disponibilità finanziaria per rivolgersi alla sanità privata.
L’Italia necessita, dunque, di interventi immediati e radicali in quello che è forse il comparto più delicato, al fine di garantire a tutti un livello di assistenza sanitaria che sia efficiente e che allontani, in tal modo, il rischio di uno sgretolamento della coesione sociale.
In un contesto caratterizzato da esigenze così gravi ed urgenti, stentiamo veramente a capire per quale motivo il Governo continui imperterrito ad opporsi all’utilizzo di quei 37 miliardi di euro che il MES (a tassi molto bassi) metterebbe a disposizione del nostro Paese, consentendogli di rilanciare la sua sanità in grande stile. Francamente, la scusa delle cosiddette “condizionalità” che, generalmente viene tirata in ballo dagli oppositori del MES, ci convince ben poco, dal momento che anche il Recovery Fund ne prevede: eppure nessuno ha mai avuto niente da obiettare…Esistono, quindi, condizionalità buone ed altre cattive? Oppure esistono, più che altro, imbarazzanti ed inconfessabili pregiudizi ideologici?