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A cura di Ferruccio Bovio
Bruciare pubblicamente i libri sacri di alcune religioni può dare luogo a violente reazioni che possono addirittura minacciare la sicurezza di persone e cose che magari si trovano a distanza di migliaia di chilometri. Per molti di noi europei non è cosa facile da accettare, dal momento che, da ormai molti anni, viviamo in una società in cui a dominare sono i valori tipici del laicismo, mentre le religioni tendono ad essere sempre più relegate negli spazi meno importanti dei nostri pensieri. Ci pare, quindi, piuttosto surreale che, in qualche altra parte del mondo, ci siano milioni di persone pronte scendere in piazza ed a manifestare (magari non usando solo le parole) per questioni che in Europa, da tempo, interessano solamente una percentuale trascurabile della popolazione.
Eppure, tre giorni fa, non pochi musulmani osservanti hanno fatto irruzione nell’ambasciata svedese a Baghdad, per protestare contro il governo scandinavo e la sua decisione di consentire lo svolgimento di una manifestazione a Stoccolma, nel corso della quale è stata data alle fiamme una copia del Corano. Ad ordinare l’irruzione nella sede diplomatica svedese è intervenuto il potente leader sciita Muqtada al Sadr: per chi non lo conoscesse ancora, non stiamo parlando di un mite fraticello di Assisi, ma di un autoritario personaggio che, oltre ad essere a capo di un partito, dispone anche di milizie personali, pronte ad immolarsi stoicamente in nome di un fanatismo religioso che a noi potrebbe ricordare, molto da vicino, le gesta sconsiderate del predicatore quattrocentesco, Girolamo Savonarola. Ma a preoccupare le capitali europee non sono solamente le potenziali intemperanze che possono sempre scaturire da una massa di scalmanati, quanto – e soprattutto – le reazioni che, non a caso, si sono già registrate a livello diplomatico, in un momento storico nel quale sarebbe più che mai opportuno che tutti i Paesi del pianeta tenessero bene i loro nervi a posto. Proteste ufficiali sono così arrivate alla Svezia non solo dall’Iraq, ma anche da Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Marocco, Giordania e Turchia. In particolare, a destare apprensione sono le ricadute politiche che l’episodio può avere sui delicati equilibri che, attualmente, stanno segnando i rapporti tra il governo di Stoccolma e quello di Ankara, il quale ha, fino ad oggi, posto il suo veto all’ingresso della Svezia nella NATO. Il presidente Recep Erdogan ha, infatti, sempre accusato il Paese scandinavo di offrire asilo politico e sostegno materiale agli esuli del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, che il “sultano” neo – ottomano ha sempre giudicato come un’organizzazione terroristica. Il caso vuole che l’incauta profanazione religiosa di mercoledì scorso sia avvenuta proprio in una fase in cui lo stesso Erdogan, parlando con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, aveva appena finito di ammettere che, adottando una nuova normativa sul terrorismo, il governo svedese aveva compiuto dei passi “nella giusta direzione” rispetto alle richieste turche. Speriamo, quindi, che adesso non si debba ricominciare tutto da capo, a causa di un gesto che a noi può sembrare una banalissima goliardata, ma che altrove viene, invece, interpretato come se fosse un’autentica soffiata del demonio.
L’autore della irresponsabile bravata è un iracheno che vive a Stoccolma con lo status di “richiedente asilo” ed ha dichiarato di aver dato alle fiamme il Corano, poiché costituisce “un pericolo per le leggi democratiche e per i valori svedesi e umani”.
Ci troviamo, pertanto, in presenza di un fatto legale, ma inopportuno. Legale perché in nessun Paese europeo si va in prigione per aver bruciato un libro, un disco, un film o qualche altro oggetto simbolico. Inopportuno perché, potrebbe rivelarsi foriero di un mare di guai o, perlomeno, di complicazioni a livello internazionale.
Quanto è capitato a Stoccolma pone delle domande – destinate forse a rimanere senza risposta – e che riguardano la compatibilità tra la libertà di espressione individuale e l’ esigenza di fare in modo che essa non vada mai a compromettere i rapporti diplomatici più complessi.
D’altra parte la differenza fondamentale che esiste tra le società democratiche e quelle teocratiche risiede proprio nel fatto che nelle prime non esistono leggi contro la blasfemia che impediscano di bruciare un libro in piazza (fosse anche la Bibbia). Nelle seconde, invece, chissà come mai, prospera indisturbata quell’intolleranza religiosa che arma la mano di chi uccide i vignettisti di Charlie Hebdo o accoltella quasi a morte lo scrittore Salman Rushdie.