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A cura di Ferruccio Bovio
Abbiamo letto, in questi giorni, che alcune studentesse musulmane di Monfalcone, prima di entrare in classe, ogni giorno vengono sottoposte, da parte delle loro insegnanti, ad una surreale operazione di riconoscimento per accertare se le ragazze siano effettivamente le allieve dell’Istituto “Sandro Pertini” che affermano di essere. Tutto ciò avviene in ottemperanza di quanto dispone la Legge 152 del 1975 che, emanata nel periodo buio degli “anni di piombo”, vieta a chiunque di poter comparire mascherato o, comunque, con il volto coperto in un luogo pubblico, salvo “giustificato motivo”. Chi sia, nella fattispecie scolastica in questione, abilitato a stabilire se un motivo sia “giustificato” o meno non appare chiaro, ma è piuttosto dubbio che il delicato compito debba davvero spettare proprio all’ autonoma iniziativa di qualche qualche preside in evidente imbarazzo …E non a caso, lo stesso ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha sollecitato il pronto aggiornamento – alle esigenze del nostro tempo – di una normativa ormai prossima a spegnere la sua cinquantesima candelina…
Sulla vicenda è intervenuta anche la giornalista Marina Terragni, fresca di nomina all’incarico di Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, esprimendo la sua preoccupazione “sulla libertà di queste ragazze e sulla loro effettiva integrazione nel contesto scolastico e sociale”, visto che – a suo parere – “talune pratiche contravvengono ai più elementari diritti e ostacolano il pieno sviluppo della personalità”.
Tuttavia, come ha più volte ricordato l’ex sindaca di Monfalcone, Anna Maria Cisint (spesso gradita ospite su questa nostra emittente), il 25 per cento dei residenti a Monfalcone è musulmano e, quindi, non c’è affatto da meravigliarsi se le studentesse che indossano un velo risultino essere assai numerose, anche se bisogna pure considerare che “c’è velo e velo”… Nel senso che un conto è portare uno “chador” che lascia il viso scoperto ed al quale, quindi, nessuno si oppone, mentre un altro è quello di pretendere di entrare in classe con un “niqab” che, consentendo di intravedere solamente solo gli occhi, mette la direzione scolastica nella sgradevole situazione di dover decidere se applicare rigorosamente la legge (vietando cioè l’ingresso alle giovani islamiche, con il rischio di provocarne l’abbandono degli studi), oppure provvedere, comicamente, alla loro identificazione tutti i giorni prima dell’inizio delle lezioni.
Può rientrare un’esigenza di carattere religioso nell’ambito dei giustificati motivi? Nella vicina Francia – soprattutto dopo che le ostentazioni di alcuni simboli di fede a scuola (come una catenina cattolica con un crocifisso o una kippah ebraica sulla nuca) avevano dato origine ad alcuni episodi di inaccettabile odio razziale e culturale – si è deciso in senso negativo, volendo tutelare la laicità dello Stato e dei luoghi in cui si esercita la giustizia oppure si diffonde il sapere. E pure noi, probabilmente, non faremmo poi così male se – almeno in merito a questi temi – prendessimo esempio dai nostri cugini d’Oltralpe ed anziché costringere un’insegnante di matematica ad agire ogni mattina come se fosse una poliziotta, spiegassimo invece – ad ogni studente ed in modo ben chiaro – che, dalle nostre parti, di esperienze simil Fra Girolamo Savonarola ne abbiamo già vissute anche troppe nel passato e che, pertanto, oggi la misura ci pare ormai – già di per sé – sufficientemente colma…
Credits Foto: Wikimedia CC BY-SA 4.0
9 Febbraio 2025
Scritto da: Giornale Radio
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