Il Corsivo

Jobs Act

today16 Maggio 2025

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A cura di Ferruccio Bovio

Il Jobs Act, al momento al centro di un acceso dibattito referendario, rappresenta forse l’elemento più qualificante di tutta l’esperienza governativa di Matteo Renzi. Come è noto, si tratta del provvedimento – risalente al 2014 – attraverso il quale venne introdotta, sul mercato del lavoro, una misura che si poneva un duplice obbiettivo: da un lato quello di favorire la flessibilità per le imprese e dall’altro quello di fornire garanzie e tutele ai lavoratori, cercando di ottimizzare la compatibilità delle due esigenze tra di loro. Sui risultati prodotti dal Jobs Act, ci sembra di poter dire che siano stati piuttosto lusinghieri, considerato che, tra il 2015 ed il 2018, al provvedimento dell’esecutivo Renzi è stata attribuita la creazione di oltre un milione di posti di lavoro.

Perno della riforma è stato l’introduzione del concetto di “tutele crescenti”, ossia di una forma di contratto a tempo indeterminato, con un meccanismo di protezione progressiva per il lavoratore che, sostanzialmente, costituiva un compromesso ragionevole tra flessibilità e garanzie. Tanto è vero che, nei primi due anni di applicazione del Jobs Act, l’adozione del contratto a tutele crescenti è subito aumentata del 36 %, mentre, contestualmente, diminuivano i contratti a termine. Da allora in poi, questa tendenza si è sempre più rinsaldata, rivelandosi un fattore fondamentale per quanto concerne lo sviluppo dell’occupazione industriale, divenuta ormai un fenomeno alimentato essenzialmente da assunzioni a tempo indeterminato.

Certo, è anche vero che il Jobs Act, ha modificato la disciplina dei licenziamenti, abolendo l’obbligo di reintegro in caso di licenziamento illegittimo per sostituirlo con un indennizzo economico…ma ciò è, pur sempre, avvenuto sulla falsa riga di quanto già da tempo era d’uso nelle altre principali economie europee. Ci pare, quindi, di poter parlare di una riforma che diede l’impressione di scaturire da una Sinistra di governo che, sebbene con grave ritardo, aveva finalmente fatto propri i mai tanto rimpianti “meriti e bisogni” di cui Claudio Martelli già parlava al Paese più di quarant’anni fa.

Francamente, per quanto possa essere mossa da una incontenibile frenesia di cancellare la stagione del riformismo renziano dalla memoria del suo partito, la scelta di Elly Schlein di sottoscrivere – senza neanche un minimo distinguo – le posizioni di Conte e Landini sul referendum del 25/26 maggio prossimi, ci è parsa sorvolare un po’ troppo sulla dignità di tanti parlamentari ed esponenti del PD che, a suo tempo, quella riforma la votarono più che convinti e che oggi devono magari fare buon viso a cattivo gioco per il timore di non essere ricandidati alle prossime elezioni. Pertanto, se ad ispirare la leadership di Elly Schlein sono l’estremismo ambientalista o i recenti e confusi orientamenti in politica estera che hanno portato il PD a differenziarsi dal resto della Socialdemocrazia europea, allora ci pare proprio che Giorgia Meloni possa dormire sonni tranquilli e puntare a restare al potere persino più a lungo della regina Elisabetta.

Credits Foto: Agenzia Fotogramma

16 Maggio 2025

Scritto da: Redazione


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