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A cura di Ferruccio Bovio
È ben modesto – come del resto era previsto – il contenuto dell’accordo raggiunto dai ministri europei dell’Energia sulle misure da adottare per mitigare gli alti prezzi dell’elettricità. In sostanza, l’intesa si limita a soluzioni – che erano già date per scontate in partenza – come il taglio dei consumi, il tetto agli extra-ricavi per i produttori di energia elettrica ed il contributo di solidarietà dei produttori di combustibili fossili.
Per il taglio ai consumi, è previsto nella misura del 10% della domanda di elettricità, con una quota del 5% nelle ore di punta, tra dicembre 2022 e marzo 2023. Sugli extra-ricavi viene fissato un tetto di 180 euro a megawatt per le grandi compagnie energetiche che producono elettricità da fonti a basso costo come rinnovabili, nucleare e carbone. Inoltre, le compagnie dell’oil&gas dovrebbero poi versare una tassa sulla base dei profitti straordinari realizzati nel 2022.
Resta però irrisolta la questione veramente importante (e divisiva): e vale a dire quella relativa alla determinazione di un tetto al prezzo del gas, su cui verterà ancora il dibattito in seno all’Unione Europea. Per il momento, infatti, la Commissione propone di fissare un prezzo massimo solamente al gas che proviene dalla Russia, mentre 15 Paesi membri – tra cui Italia – chiedono un tetto generalizzato a tutte le importazioni.
Intanto, a suo modo, la Germania decide di intervenire, sul problema del caro energia, in piena autonomia – e cioè senza aver prima consultato né Bruxelles e né gli altri Paesi comunitari – annunciando un piano da 200 miliardi per difendere le aziende e le famiglie tedesche dagli aumenti del gas e per spingerne il costo verso il basso. Cosa che, in effetti, è avvenuta pochi minuti dopo la notizia data dal governo tedesco, quando cioè il prezzo è sceso a quota 186 euro con un calo del 10 %, sebbene fosse evidente, fin da subito, che la scelta operata da Berlino costituisse un intervento “tampone” (per quanto di dimensioni colossali), ma non certo strutturale.
E il cancelliere tedesco Olaf Scholz, a questo proposito, parlando con la stampa, è stato molto chiaro sulla manovra decisa dal suo esecutivo, dichiarando che, con la distruzione dei gasdotti nel Mar Baltico, presto sarebbe finito del tutto l’approvvigionamento di gas russo alla Germania e, pertanto, il suo governo si è trovato praticamente obbligato a varare questo piano da 200 miliardi che – tanto per darne un’idea – da solo rappresenta un importo superiore a tutto il denaro che il Recovery Fund ha destinato all’Italia. Il meccanismo su cui scommette Berlino prevede di continuare ad acquistare il gas sul mercato utilizzando i miliardi messi ora a disposizione, cercando così di limitare i costi a carico dei cittadini tedeschi.
Come si è detto prima, si tratta di un provvedimento gigantesco, ma di carattere occasionale, che ha lasciato non poco irritato il nostro premier, Mario Draghi il quale, anche su questi temi, ha sempre remato verso l’adozione di politiche comuni. Altrimenti, in Europa si alimenteranno differenze sempre più marcate tra Stati che – come la Germania – possono permettersi ampi scostamenti di bilancio ed altri che, come l’Italia, essendo già notevolmente indebitati, saranno destinati a rimanere con il classico cerino in mano.
La lentezza dell’Europa sul tetto del gas assomiglia, dunque, molto ad un arresto deludente ed imprevisto del processo di integrazione comunitaria.
Credits: Agenzia Fotogramma
Written by: Giornale Radio
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