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A cura di Ferruccio Bovio
Verso la metà degli Anni 80, cominciarono ad entrare anche nel nostro vocabolario due parole russe che, nelle intenzioni dell’uomo che ne aveva fatto i due pilastri fondamentali del suo progetto politico, dovevano essere portatrici di grandi novità per l’ormai quasi agonizzante sistema sovietico. “Perestrojka” e “Glasnoz”, si possono tradurre – a grandi linee – con i nostri termini “riforma (o ricostruzione)” e “trasparenza”: ed è proprio a questi due concetti guida che Mikail Gorbaciov si era ispirato per cercare di sganciare, finalmente, il suo immenso Paese dai tanti condizionamenti anacronistici ed opprimenti che costituivano ancora il lascito di un passato divenuto ormai penalizzante. Un passato che, pur avendo, indubbiamente, conosciuto momenti di gloria come la sconfitta di Hitler ed il primato nella corsa spaziale, tuttavia, alla fine del Secolo Breve, grondava ancora del sangue di milioni di vittime del Terrore staliniano e della detenzione senza via d’uscita nei gulag, così efficacemente descritta da Solgenitsin.
Gorbaciov parlò per la prima volta di perestrojka nel 1985, volendo con essa indicare i quattro punti essenziali del suo disegno riformatore: e vale a dire la privatizzazione di alcuni settori economici statali, la libertà di informazione, la riduzione del controllo sui Paesi dell’Est (la famosa “sovranità limitata”) e la definizione di trattati con gli Stati Uniti sulla via del disarmo nucleare.
L’ultimo Segretario Generale del Partito Comunista Sovietico – in fondo, se ci si pensa bene, l’erede di Lenin e di Stalin – aveva iniziato, in quei giorni, a stupire positivamente il mondo portando avanti una rivoluzione certamente incruenta, ma non per questo meno radicale di quella che, nel 1917, aveva segnato il passaggio dallo zarismo al potere bolscevico. Ed il protagonista di questo cambiamento epocale è stato proprio lui, Mikail Gorbaciov, l’uomo che trasformò quello che, fino ad un momento prima, Ronald Reagan aveva definito “l’Impero del Male”, in un ragionevole interlocutore con cui Washington avrebbe, d’ora innanzi, potuto discutere serenamente di grandi questioni strategiche, di abbattimento del Muro di Berlino, di liberazione dei detenuti politici e da cui magari ottenere anche un tacito “nulla osta” per iniziare la prima guerra del Golfo contro Saddam Hussein.
Tutte aperture all’Occidente, queste, che non a caso gli valsero il conferimento del Premio Nobel per la pace nel 1990, ma che oggi, a Mosca, sono, invece, ancora in molti – a partire dallo stesso Putin – a non perdonargli affatto. Stiamo, non a caso, parlando di un leader che, sebbene di matrice sovietica, aveva, comunque, introdotto un modo di porsi e di fare politica che nessuno, nel suo Paese, aveva fino allora mai visto: un potente che non disdegnava il contatto diretto con la gente e che era sempre disponibile al dialogo costruttivo con tutti. Ma soprattutto, Mikail Gorbaciov è stato il capo di una superpotenza nucleare che è riuscito a farsi apprezzare all’estero per un’attitudine che invece, purtroppo, gli viene oggi contestata e disapprovata proprio in patria: quella che cioè riguarda la sua propensione al ripudio della violenza, in favore di una politica basata esclusivamente sul consenso e sul negoziato.
Credits: Agenzia Fotogramma
Written by: Giornale Radio
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