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I familiari delle vittime del rogo della Thyssen si ribellano allo Stato | 07/12/2021 | Il Corsivo

today7 Dicembre 2021

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A cura di Daniele Biacchessi 

Era la notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007, e mancavano poche settimane a Natale. L’una di notte era passata da pochi minuti e la linea 5 dell’acciaieria ThyssenKrupp di Torino va in fiamme. Il rogo investe sette operai, turnisti, figli e padri di famiglia. Si chiamavano Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno Santino, Antonio Schiavone e Antonio Boccuzzi, unico sopravvissuto al rogo.

Sono passati quarant’anni da quella sciagura frutto di imperizia dell’azienda che non aveva adottato i più elementari criteri di sicurezza in una delle zone più pericolose dell’impianto. Quattordici anni dopo, le salme delle sette vittime sono state tumulate all’interno del mausoleo realizzato al cimitero Monumentale di Torino in loro memoria e per tutti i morti sul lavoro. Ma la rabbia e il dolore resta sulla pelle dei familiari delle vittime. “Ci sentiamo presi in giro, traditi da uno Stato di cui non ci fidiamo più La nostra tragedia è stata dimenticata, ma noi non possiamo dimenticare: lo Stato deve intervenire affinché gli infimi personaggi che non hanno mai chiesto perdono, e sono sfuggiti alle loro responsabilità, siano puniti”. Lo dicono a gran voce e chiedono la condanna dei responsabili. “Aspettiamo sempre che gli assassini tedeschi vengano condannati, ma l’ultimo ricorso è scaduto a luglio e da allora non si sa più niente”, dice Rosina Platì, madre di Giuseppe De Masi. E ha ragione. Dal rogo della ThyssenKrupp tante, troppe persone sono morte nei luoghi di lavoro. E non basta solo la memoria. Le leggi ci sono e vanno applicate.

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