Il Corsivo

Un accordo che merita un “12”?

today31 Ottobre 2025

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Scritto da Ferruccio Bovio

Con l’ormai consueto trionfalismo, Donald Trunp, ha commentato con la stampa l’esito dell’incontro diretto avuto con il leader cinese Xi Jinping, definendolo “un grande successo” che, oltre a riguardare le terre rare e i dazi, comporterà pure un impegno a lavorare insieme per portare la pace in Ucraina. A chi gli ha chiesto di dare un voto – da 1 a 10 – al suo dialogo con Xi, il Tycoon ha risposto con un entusiastico “12”. In questi ultimi nove mesi, di ingenuità e di facilonerie ne abbiamo già viste parecchie, per cui, pur augurandoci ovviamente il meglio del meglio, per ora preferiamo rimanere in prudente attesa prima di lasciarci prendere dall’ottimismo.

In realtà, il viaggio di Donald Trump in Asia aveva un’importanza che andava ben al di là dei potenziali accordi commerciali con la Cina o con le altre nazioni orientali già amiche degli Stati Uniti. In particolare, nel caso della Cina, gli aspetti economici paiono strettamente collegati a quelli strategici. Con Pechino, infatti, i giochi sono sempre stati molto più rischiosi e complessi: perlomeno da quando la prima Amministrazione Trump avviò un cambio di atteggiamento nei confronti del gigante asiatico, passando dal presupposto iniziale – in base al quale la globalizzazione avrebbe prodotto una maggiore apertura anche politica – ad una fase di mutata consapevolezza, in merito al pericolo rappresentato da una nuova superpotenza determinata ad assumere un ruolo guida, a livello planetario, grazie alla sua crescita economica. Non a caso, anche durante la presidenza Biden, Washington ha varato numerose iniziative per contenere l’espansione cinese, sia sul piano economico, che su quello strategico, come dimostrano alcune intese militari siglate in particolare con Australia, Giappone, India e Corea del sud.

Difficile che Xi Jinping non sappia che l’obbiettivo primario ed ambizioso dell’attuale diplomazia statunitense sarebbe stato (e, forse, è ancora) quello di allentare, almeno in parte, i rapporti che legano la Russia al suo Paese: e proprio in questa chiave vanno, infatti, letti alcuni recenti, inutili e goffi tentativi trumpiani di corteggiare Vladimir Putin, anche a costo di andare a svilire la dignità della Nazione americana e della sua stessa presidenza. Il piano sarebbe, a ben vedere, un qualcosa che vorrebbe assomigliare – sia pure con scopi invertiti – a quell’operazione che Henry Kissinger portò a felice conclusione, negli anni Settanta, quando l’Amministrazione Nixon stabilì relazioni diplomatiche con la Cina di Mao (si parlò allora di “Coesistenza Pacifica”), proprio per ridimensionarne la vicinanza a Mosca. Oggi, però, Kissinger non c’è più e i vari Witkoff e Rubio non ne sono nemmeno delle copie sbiadite.

Inoltre, Putin, finchè si tratta di fare quattro passi su un tappeto rosso in Alaska si adatta magari anche volentieri, ma quando poi si parla di far tacere le armi in Ucraina, non c’è moina che riesca a smuoverlo dalla sua intransigenza o, comunque, dal porre condizioni inaccettabili da Kiev e dalle capitali europee. Ed è, dunque, da questa sorta di stallo diplomatico tra Mosca e Washington che, alla Casa Bianca, nasce, l’idea – diremmo piuttosto ardita – di rivedere radicalmente la diplomazia iniziale per puntare, invece, proprio sull’aiuto di Xi Jinping, sperando che, ad esempio, la Cina non si sottragga dal rispettare le nuove sanzioni americane contro le società petrolifere russe, in modo tale da contribuire anch’essa all’indebolimento economico di Mosca. Sembra difficile, ma può anche darsi che Xi – magari perché ambisce ad apparire come il solo ed imprescindibile ago della bilancia della stabilità mondiale – accetti anche di rinunciare a parte del petrolio che Putin gli vende sotto costo, ma, in tal caso, bisognerà pure stare attenti a cosa chiederà in cambio…Vedremo. Intanto, Taiwan pensiamo non viva serena.

Scritto da: Ferruccio Bovio


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