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today14 Marzo 2025
(Adnkronos)
Il rapporto di Donald Trump, e di conseguenza quello della Casa Bianca, con la stampa è stato complicato da subito. Con una escalation di conflittualità che arriva alla clamorosa ipotesi di queste ore, rescindere i contratti con le tre principali agenzie di stampa, Ap, Reuters e Bloomberg.
Una progressiva campagna contro la stampa libera che nei due mesi scarsi di nuova amministrazione ha vissuto una serie di upgrade. Dal ritiro dell’accredito a un reporter dell’Ap, ‘colpevole’ di voler continuare a chiamare il Golfo del Messico con il suo nome, alle modifiche, sostanziali, alle prassi consolidate gestite finora dalla White House correspondents’ association (Whca), con l’accesso di testate ‘gradite’ al’interno del press pool. E si sono viste già le prime conseguenze, con le domande provocatorie ed evidentemente concordate, durante il confronto con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
L’obiettivo, peraltro dichiarato, è quello della disintermediazione. E si lega direttamente al tentativo di limitare il controllo della stampa professionale sulla produzione e la diffusione delle notizie. Il risultato finale vuole essere una narrazione autoprodotta che arrivi direttamente all’utente finale, al popolo. Evidenti, da tutti i punti di vista, i rischi di una approccio del genere.
Annullare ”i costosi e inutili contratti di agenzie di stampa per la Us Agency for Global Media” (Usagm), tra cui ”decine di milioni di dollari in contratti con l’Associated Press, la Reuters e l’Afp”. Questa la proposta di Kari Lake, la giornalista scelta a febbraio dal presidente americano Donald Trump come sua consulente speciale nella Usagm. ”Non dovremmo pagare aziende di informazione esterne per dirci quali sono le notizie: con un budget di quasi un miliardo di dollari dovremmo produrre noi stessi le notizie”, ha scritto Lake su ‘X’. L’Usagm è un’organismo del governo statunitense responsabile della diffusione internazionale di notizie e informazioni che supervisiona vari mezzi di comunicazione finanziati da Washington come Voice of America (Voa), Radio Free Europe e Radio Free Asia.
I’ve been in fact-finding mode at the USAGM, & boy, am I finding a lot of nonsense that the American taxpayer shouldn’t be paying for.
Today, I started the process of terminating the agency’s contracts with the Associated Press, Reuters, & the Agence France-Presse. This will… pic.twitter.com/iYyaPnJ9lD
— Kari Lake (@KariLake) March 14, 2025
Come si legge nel post, la proposta sembra già avere le sembianze di una decisione. “Oggi ho avviato il processo di risoluzione dei contratti dell’agenzia con Associated Press, Reuters e Agence France-Presse. Ciò farà risparmiare ai contribuenti circa 53 milioni di dollari”. In chiaro anche il ‘movente’: “lo scopo della nostra agenzia è raccontare la storia americana. Non abbiamo bisogno di esternalizzare questa responsabilità a nessun altro”.
L’amministrazione Trump ha annunciato il 25 febbraio scorso di voler assumere il controllo del pool di giornalisti ammessi a seguire più da vicino il presidente, smontando un sistema che da decenni è controllato dalla White House correspondents’ association (Whca), l’associazione dei corrispondenti dalla Casa Bianca gestita dalle stesse testate giornalistiche. Alle parole di Trump, “d’ora in poi saremo noi a condurre le danze”, ha replicato una nota della Whca, “in un Paese libero non sono le autorità a scegliersi i giornalisti”. Il tema riguarda non solo l’accesso alla Casa Bianca ma la copertura in tempo reale e indipendente delle notizie che la riguardano.
Il pool, necessariamente un gruppo ristretto di giornalisti, segue il presidente anche negli spazi inaccessibili a tutti, come lo Studio Ovale e l’aereo presidenziale Air Force One, 13 posti in tutto. Il pool ha il compito di riferire quello che vede e quello che sente ai giornalisti che non sono presenti, con tutti gli strumenti a disposizione: note, registrazioni audio e video, fotografie. I giornalisti sono scelti a rotazione ma con alcuni punti fermi: tre sono delle agenzie di stampa (Ap, Bloomberg e Reuters); due della carta stampata o online; un giornalista radiofonico; quattro fotografi; e una troupe televisiva, tra cui un produttore, un tecnico audio e un operatore di ripresa.
Le tre agenzie di stampa, che sono membri permanenti del pool, hanno diffuso il 26 febbraio uno statement firmato da Julie Pace (Executive editor Associated Press), Alessandra Galloni (Editor in chief Reuters) e John Micklethwait (Editor in chief Bloomberg). Le tre agenzie “lavorano da tempo per garantire che informazioni accurate, corrette e tempestive sulla presidenza siano comunicate a un vasto pubblico di tutte le convinzioni politiche, sia negli Stati Uniti che a livello globale. Gran parte della copertura della Casa Bianca che le persone vedono nei loro organi di stampa locali, ovunque si trovino nel mondo, proviene dalle agenzie”.
Le tre agenzie ricordano come sia “essenziale in una democrazia che il pubblico abbia accesso alle notizie sul proprio governo da una stampa indipendente e libera”. Quindi, la conclusione “Riteniamo che qualsiasi misura del governo per limitare il numero di agenzie di stampa con accesso al Presidente minacci tale principio. Danneggia inoltre la diffusione di informazioni affidabili a persone, comunità, aziende e mercati finanziari globali che dipendono fortemente dal nostro reporting”. (Di Fabio Insenga)
Scritto da: Giornale Radio
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