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A cura di Daniele Biacchessi
Vent’anni fa l’allora presidente americano George Bush Jr, ordinava l’invasione dell’Afghanistan, in risposta agli attacchi dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti.
Vent’anni dopo i talebani cacciati dai luoghi del potere si sono ripresi Kabul e controllano l’intero Paese. Come è stato possibile?
La disfatta in Afghanistan non è solo americana, ma anche di tutta la coalizione internazionale, Italia compresa. E appare ancora più grave se si tiene conto che l’impegno è durato in modo continuativo per un ventennio.
Solo dieci anni fa lo sforzo militare calcolava oltre 130.000 soldati composti da 51 contingenti. Oltre a centinaia di ong che hanno operato per aiutare la società civile in ogni campo. Sono molte le cause di questa clamorosa sconfitta. Dall’attacco contro l’Iraq di Saddam Hussein che tolse forza alla missione in Afghanistan alle divisioni all’interno della missione con gli americani e gli inglesi che la definivano “di tipo strettamente militare” e gli europei secondo cui era una “operazione di peacekeeping”.
E oggi si replica in Afghanistan il fallimento iracheno di fronte a Isis vittorioso a Mosul nel 2014. I programmi di addestramento delle nuove forze armate afghane sono proseguiti nonostante la crescita delle diserzioni e i comandanti spesso si intascavano le paghe dei soldati, favorendo un sistema di corruzione endemica. Così partiti i contingenti, terminata la missione internazionale, gran parte degli effettivi di Ghani sono passati armi e bagagli ai talebani.
È la sindrome della sconfitta politica e militare su cui anche il nostro Paese dovrebbe riflettere seriamente.
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Scritto da: Giornale Radio
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