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A cura di Ferruccio Bovio
A seguito delle esplosioni che hanno gravemente danneggiato la diga di Nova Kakhovka sul fiume Dniepro (nella provincia ucraina di Kherson, attualmente finita sotto il controllo russo), sembra che almeno 22mila persone siano state costrette ad abbandonare le loro abitazioni per sfuggire alle devastazioni che l’imponente alluvione sta causando. Entrambe le parti in conflitto si rinfacciano l’accusa di aver volutamente determinato la distruzione della struttura che risale al 1956 e bisogna dire che – almeno per ora – non è affatto facile, per un osservatore esterno, esprimere in merito un’opinione assolutamente certa. Tuttavia, i video disponibili mostrano un’esplosione che avviene all’interno della diga e che non pare, quindi, essere provocata – come sostiene Mosca – da un bombardamento esterno.
Per la verità, è risaputo che i soldati russi avevano minato la diga di Kakhovka già nell’ottobre scorso, quando cioè le truppe ucraine avevano dato l’impressione di poter liberare le zone occupate intorno alla città di Kherson da un momento all’altro: in quella circostanza fu probabilmente ipotizzato, da parte dei vertici militari del Cremlino, di ricorrere alla distruzione della struttura per rallentare l’avanzata del nemico, nel caso in cui questo avesse oltrepassato il fiume e si fosse, quindi, spinto ulteriormente verso sud. Poi, siccome, gli Ucraini si erano fermati sulla sponda ovest del Dniepro, i Russi avevano evitato di far detonare le loro cariche: cosa che, invece, hanno forse deciso di fare proprio adesso. Non c’è, infatti, dubbio sul dato che l’enorme massa d’acqua liberata, allagando soprattutto la sponda sud (e vale a dire quella occupata dai Russi), finisca per produrre, dal punto di vista militare, un notevolissimo intralcio per un’ eventuale avanzata ucraina che, a questo punto, si troverebbe a dover fare i conti con le serissime difficoltà in cui verrebbero a trovarsi i suoi mezzi pesanti nel muoversi su un terreno ridotto a fango e paludi.
Tuttavia, la fine della diga sul Dniepro comporta disagi e grattacapi notevolissimi anche per le forze occupanti, dal momento che è proprio da questa fonte che proviene gran parte dell’acqua che rifornisce sia la penisola di Crimea – annessa dalla Russia nel 2014 – che la centrale nucleare di Zaporizhzhia (oggi controllata dagli uomini di Putin). L’enorme impianto atomico necessita, infatti, di un afflusso idrico molto regolare che risulta indispensabile per il raffreddamento dei suoi reattori, come più volte sottolineato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. E non a caso, durante le poche ispezioni che gli è stato concesso di fare a Zaporizhzhia, il direttore dell’Agenzia stessa, Rafael Grossi, ha sempre evidenziato l’esigenza di garantire una quantità costante di acqua nei grandi bacini che circondano l’impianto. Ecco perché il governo di Kiev accusa oggi Mosca di “ecocidio”.
Scritto da: Giornale Radio
today6 Novembre 2024 13317 8
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