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A cura di Daniele Biacchessi
La memoria di un Paese, con i suoi pezzi di Storia non ancora chiariti, e anche tutti i suoi orrori, dovrebbe rappresentare l’applicazione dei valori scritti nella nostra Costituzione, dunque il nostro vivere civile. Il 24 marzo 1944, alle Fosse Ardeatine, sono stati massacrati dai nazisti, 335 italiani innocenti come affermato dalla premier Giorgia Meloni, oppure 335 antifascisti come sottolineano le opposizioni? La verità resta impigliata nella Storia. È il marzo 1944. Da oltre sei mesi Roma è occupata dai nazisti. Hanno già arrestato 1.259 cittadini ebrei, trasferiti dal ghetto romano ai campi di sterminio in Germania e Polonia (16 ottobre 1943, solo in diciassette torneranno vivi). Il 23 marzo 1944, i Gap romani, effettuano un attentato in via Rasella contro il battaglione Bozen. «Un legittimo atto di guerra, non una strage», sosterranno alcune sentenze della Corte di Cassazione nel 1957, 1999, 2007, 2009, dopo polemiche, interminabili inchieste e processi in sede civile, penale e militare. La reazione tedesca è caotica. I boia incaricati dell’operazione sono il comandante della Gestapo a Roma Herbert Kappler, il colonnello delle SS Eugen Dollmann, i capitani Erich Priebke e Karl-Theodor Schütz, il maggiore delle SS Karl Hass, il questore Pietro Caruso, il responsabile del Reparto speciale di polizia Pietro Koch. Trecentotrentacinque persone, italiani e antifascisti. Il 24 marzo 1944 i condannati a morte vengono fatti salire sugli autocarri. Non conoscono la loro destinazione finale: le Cave Ardeatine. Scendono dai veicoli, sono trasferiti a gruppi dentro le gallerie di tufo e uccisi uno a uno con un colpo di pistola alla nuca. Dopo il massacro, i nazisti minano le cave e le fanno saltare, tentando di eliminare le prove della loro barbarie. Le vittime sono italiani, antifascisti, uccisi dai nazisti e da italiani fascisti. E questo, a 79 anni da quei fatti, dovrebbe appartenere ad una memoria collettiva, non ancora condivisa.
Scritto da: Giornale Radio
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