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Nel suo sconclusionato – e, per certi aspetti, davvero imbarazzante – discorso pronunciato, dinanzi all’Assemblea Generale dell’ONU, Donald Trump ha definito il cambiamento climatico come una “grande truffa”. Confessiamo di non disporre assolutamente delle competenze scientifiche per contestare “in toto” le parole del presidente americano, anche se abbiamo l’impressione che, quando eravamo ragazzi, certe catastrofi naturali fossero assai meno frequenti. Ma forse ci sbagliamo. Siamo però convinti del fatto che in Europa, soprattutto nell’ultimo decennio, l’approccio al “climat change” sia stato, effettivamente, viziato da un eccesso di allarmismi e di pregiudizi ideologici, le cui conseguenze negative non hanno certo tardato a manifestarsi.
Intendiamo dire che l’economia europea, nel suo complesso, è oggi responsabile di poco più del 5% delle emissioni mondiali di CO2, mentre i principali emettitori risultano essere la Cina, gli USA, l’India e la Russia: tutti Paesi che se ne infischiano beatamente dei vari protocolli di Kyoto o accordi di Parigi e che, quando lo ritengono utile, non esitano neanche un attimo ad aprire persino nuove centrali a carbone…A costo di risultare monotoni e ripetitivi, ci spiace, dunque, ricordare nuovamente che, se per incanto, all’improvviso tutto il Vecchio Continente sparisse dalla faccia della Terra, le ripercussioni a livello mondiale, in quanto ad emissioni di CO2, sarebbero praticamente irrilevanti.
Ciò nonostante – soprattutto nel periodo segnato dall’infausta gestione del Commissariato al Clima da parte del belga Frans Timmersmans – l’Unione europea, animata certamente da ottime intenzioni umanitarie, ma purtroppo anche da velleitari ottimismi, si era illusa – dando vita al suo ambizioso Green Deal – di poter recitare la parte del “primo della classe” che indica, “urbi et orbi”, la via maestra verso la salvezza collettiva, riscuotendo l’ammirazione e la gratitudine da parte di tutte le altre aree del Pianeta. Peccato però, che il modello virtuoso – allora proposto dalla presidenza Von der Leyen – abbia, invece, lasciato del tutto indifferenti i nostri interlocutori asiatici e americani, i quali, se mai, vi hanno prontamente colto una formidabile occasione per mettere in ginocchio interi comparti dell’industria europea.
Ed a questo proposito, a parlare piuttosto chiaro pensiamo bastino i numeri recentemente resi noti dalla stessa Commissione europea, la quale ci segnala la perdita – tra il 2019 ed il 2024 – di ben di 853mila posti di lavoro nell’ambito dell’industria manifatturiera continentale. Posti che – almeno per ora – non risultano affatto compensati da altri eventualmente generati dalla green economy….Anzi, a volerla dire proprio tutta, bisogna probabilmente riconoscere che – come era forse prevedibile – il fondamentalismo ambientalista di Bruxelles i suoi maggiori effetti occupazionali è andato, invece, a produrli a favore di economie molto lontane da casa nostra: magari in Cina, Paese leader in tutte quelle tecnologie verdi che sono così indispensabili proprio al Green Deal del duo Timmersmann – Von der Leyen.
Scritto da: Ferruccio Bovio
Il Timone di Daniele Biacchessi è il punto pomeridiano sulle principali notizie della giornata: ospiti di primo piano, commenti, analisi, anticipazioni. Narrato dal direttore editoriale di Giornale Radio.
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