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A cura di Ferruccio Bovio
Valerio “Giusva” Fioravanti, il terrorista nero condannato a otto ergastoli e con un passato da baby star nella televisione in bianco e nero degli Anni 70, è oggi al centro di un’accesa polemica sorta a seguito di un articolo a sua firma che è appena comparso sulle pagine di uno dei giornali più emblematici della Prima Repubblica: “L’Unità”, l’organo ufficiale del PCI fondato da Antonio Gramsci e tornato, dopo una lunga assenza, da pochi giorni nelle edicole, grazie all’intervento di un editore privato che ne ha affidato la guida a Piero Sansonetti, già direttore de “Il Riformista”.
Per la verità, non è la prima volta che Fioravanti pubblica le sue opinioni su un quotidiano di una certa rilevanza, perché già lo faceva, in modo sistematico, attraverso la rubrica “nessuno tocchi Caino”, proprio su quel “Riformista” dal quale, evidentemente, Sansonetti ha ritenuto di doverlo portare via per coinvolgerlo nella sua nuova avventura editoriale.
Ora bisogna sapere che, tra i crimini per i quali l’ex esponente dei NAR è stato condannato, figura anche quello che riporta la nostra memoria alla terribile data del 2 agosto 1980: quella cioè in cui persero la vita 85 persone nell’orrenda strage di Bologna. Fioravanti, che pure ha riconosciuto la sua responsabilità per tutti i delitti che gli sono stati attribuiti, si è, invece, sempre dichiarato estraneo a quanto avvenne quel giorno alla stazione del capoluogo emiliano: tuttavia, a smentirlo ufficialmente esiste una sentenza da tempo passata in giudicato. Ecco perché la sua attività pubblicistica ha immediatamente provocato una dura reazione da parte dell’Associazione dei parenti delle vittime di Bologna che si definiscono “schifati” e giudicano “una vergogna che Valerio Fioravanti scriva su un giornale…che si chiama l’Unità…ma è ancora più vergognoso che il direttore Sansonetti faccia scrivere uno pseudo giornalista”.
Eppure, lo dice anche la nostra Costituzione che “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato” e, pertanto, a questo Fioravanti (che, sinceramente, noi abbiamo sempre visto come il fumo negli occhi), dopo aver scontato 26 anni di carcere, la magistratura ha concesso, nel 2009, di tornare ad essere un uomo libero. Libero, quindi, di fare un lavoro qualunque, compreso quello di giornalista o di pubblicista. Questo – piaccia o non piaccia – è, per nostra fortuna, lo stato di diritto: quello stesso stato di diritto che ha, del resto, offerto l’opportunità di tornare ad una vita non violenta anche ad altri individui che, seppure da una sponda opposta a quella di Fioravanti, negli Anni di Piombo fecero le loro scelte sbagliate, delle quali ciò che oggi resta è solamente una folle sequenza di lutti e di sofferenze destinati a rimanere, per sempre, senza alcuna giustificazione.
Scritto da: Giornale Radio
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