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A cura di Ferruccio Bovio
In questi giorni, si sente spesso parlare di “diritto all’oblio”, facendo riferimento alla particolare esigenza che un individuo possa avere nell’ottenere la cancellazione di alcuni aspetti non più attuali del suo passato, ma che potrebbero, tuttavia, continuare a condizionare l’evolversi dei suoi anni a venire. E, tra i casi più frequenti in cui questo tipo di esigenze vengono a manifestarsi, figurano senz’altro quelli che, chiamando in causa i dati sensibili di natura sanitaria, consentono di delineare lo stato di salute di una persona, specificando le patologie dalle quali questa sia stata o possa ancora risultare colpita. Si pensi, ad esempio, a quel 27% di cittadini italiani che sono riusciti a guarire definitivamente da un tumore, ma che, in qualche modo, devono comunque continuare a fare i conti con la malattia, ogni volta che, per stipulare una polizza assicurativa, per sostenere un colloquio di lavoro o per accendere un mutuo in banca, sono costretti a rivelare i loro precedenti clinici. Ed è proprio in circostanze come queste che viene a configurarsi quella situazione assurda, in base alla quale chi è riuscito effettivamente a liberarsi dal tumore, ne rimane lo stesso marchiato a vita, quasi come se la malattia potesse ancora esercitare la sua nefasta azione persecutoria persino nei confronti di un soggetto divenuto ormai completamente sano. Ecco perché qualcuno, a proposito di certi casi, ha coniato l’espressione di “apartheid oncologico”.
Pertanto, proprio per ovviare a questo tipo di condizionamenti penalizzanti, la Commissione Affari Sociali della Camera sta, al momento, esaminando alcuni disegni di legge (sostanzialmente bipartisan), i cui principi ispiratori possono individuarsi nel divieto di chiedere informazioni o di imporre clausole inerenti una pregressa patologia oncologica, tali da impedire od ostacolare il normale espletarsi delle più svariate pratiche burocratiche o finanziarie.
Il diritto all’oblio, stando ai progetti legislativi, dovrebbe scattare dieci anni dopo la fine delle terapie, a meno che la diagnosi tumorale non risalga a prima del compimento dei 21 anni, nel qual caso basterebbero cinque anni per ottenere la rimozione del proprio passato di paziente oncologico.
E’ importante, quindi, che i lavori parlamentari procedano nella maniera più spedita, per affrancare centinaia di migliaia di persone da questa sorta di apartheid che è, tra l’altro, in così marcato contrasto non soltanto con le nostre norme costituzionali, ma anche con il buon senso comune.
Scritto da: Giornale Radio
today6 Novembre 2024 13317 8
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