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Persecuzione in Nigeria: migliaia di cristiani uccisi, sfollati e chiese distrutte nella Middle Belt

today30 Luglio 2025

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Straordinario silenzio dei media occidentali sul massacro di cristiani in Nigeria: oltre 5.600 vittime, 124.000 sfollati, 2.100 chiese colpite. La denuncia arriva anche dal Papa.

In base ai dati che ci giungono da fonti del Parlamento europeo, apprendiamo che, in Nigeria, negli ultimissimi anni, sono stati uccisi oltre 5.600 cristiani, 124.000 hanno dovuto abbandonare le loro case, mentre più di 2.100 chiese sono state colpite o incendiate. Il tutto nel quasi completo disinteresse da parte dei nostri media occidentali, distratti, evidentemente, da cose che, a loro giudizio, risultano politicamente meno imbarazzanti.

L’allarme del Papa per Yelwata

C’è voluto, ad esempio, l’intervento del Papa (nell’Angelus del 15 giugno scorso) per richiamare l’attenzione di chi lo ascoltava sul massacro avvenuto due giorni prima nella Nigeria centrale, dove duecento sfollati di fede cristiana erano stati assassinati da una violenza spietata e scientifica nel villaggio di Yelwata, nella contea di Guma.

Il metodo del massacro

La paternità dell’eccidio va attribuita ad un gruppo di miliziani musulmani che, durante la notte, hanno circondato l’area in cui erano accampate le vittime, aprendo il fuoco su chiunque si trovasse in quel luogo. Le baracche e le tende sono state incendiate con dentro le famiglie, carbonizzandone i corpi fino a renderli irriconoscibili. Tutti cristiani in fuga disperata da un clima di violenza tanto assurda, quanto intollerabile.

Distruzione sistematica della Middle Belt

Se si erano illusi di aver finalmente trovato un rifugio sicuro, la loro speranza è stata crudelmente cancellata in pochi minuti da un fanatismo religioso che, per loro sventura, alla comunità internazionale sembra interessare ancora ben poco. Non a caso, l’ultimo decennio ha assistito, nell’indifferenza generale, alla sistematica eliminazione delle comunità cristiane rurali tradizionalmente presenti in quella fascia del Paese africano denominata “Middle Belt” e dove, adesso, a rimanere sono soltanto i campi devastati, le chiese distrutte e la memoria delle famiglie sterminate.

L’appello recente del Papa

Recentemente, il nuovo Papa venuto da Chicago ha rivolto un accorato appello alla comunità internazionale, perché venga osservato il diritto umanitario e rispettato “l’obbligo di tutela dei civili, nonché il divieto di punizione collettiva, di uso indiscriminato della forza e di spostamento forzato della popolazione”.

Verso una maggiore presa di coscienza?

Speriamo che queste parole non siano destinate a rimanere tali, ma comportino, invece, da parte della Chiesa cattolica una maggiore presa di coscienza su certi temi, rimasti, forse, un po’ troppo sottovalutati sotto il precedente pontificato.

Radici storiche e cause profonde dei conflitti in Nigeria

Le tensioni hanno radici antiche, che affondano nella storia coloniale e post-coloniale della Nigeria. La Middle Belt — quella fascia che separa il Nord musulmano dal Sud cristiano — è un mosaico di etnie autoctone e di “insediamenti” di pastori Fulani musulmani, spesso percepiti come “stranieri” dai popoli indigeni cristiani.

Questi conflitti non sono solo religiosi ma anche fondati su rivendicazioni territoriali, accesso alle risorse naturali, diritti politici e rappresentanza. Inoltre, il sentimento di ingiustizia storica, quello che gli studiosi definiscono “grievance” collettive, alimenta un ciclo di ritorsioni che si autoalimenta, creando un’escalation che diventa sempre più difficile da fermare.

Esempi di dialogo interreligioso e possibilità di pace

Eppure, la Middle Belt non è solo teatro di conflitto: esistono anche esempi concreti di dialogo interreligioso e cooperazione. In città come Kaduna e Abuja operano centri interreligiosi come l’Interfaith Mediation Center di Imam Muhammad Ashafa e Pastor James Wuye, il Nigeria Interreligious Council (NIREC), e altri enti impegnati nel costruire ponti tra cristiani e musulmani.

Studi recenti mostrano che in alcune comunità, soprattutto tra i Yoruba nel sud-ovest, si è sviluppato un modello di convivenza che sfida la dicotomia religioso-etnica: è il caso del movimento sincretico del Chrislam, che cerca di unire pratiche cristiane, islamiche e tradizionali per promuovere tolleranza e riconoscimento reciproco. Questo modello culturale e religioso sincretico evidenzia ciò che Emmanuel Chiwetalu Ossai chiama “agency civica” e governance inclusiva: elementi essenziali per costruire pace, anche in contesti segnati da identità complesse e ferite storiche.

Scritto da: Redazione


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