
4 aprile 1968. Il reverendo Martin Luther King si trova a Memphis.
Il volo che lo porta nella città del Tennessee viene ostacolato a causa di una minaccia di bomba, ma King pronuncia comunque il suo ultimo discorso al Mason Temple, oggi noto come “I’ve Been to the Mountaintop”.
Pochi mesi prima, King si era già recato a Memphis in supporto dei lavoratori sanitari afroamericani in sciopero contro gli ineguali salari e le condizioni di lavoro imposte dall’allora sindaco Henry Loeb.
Il 4 aprile 1968 King alloggia al Lorraine Motel.
King si trova fuori nel balcone di fronte alla sua camera, la 306.
Alle 18:01 viene colpito da un singolo proiettile calibro 30-06 sparato da un Remington 760. King cade violentemente all’indietro sul balcone, incosciente.
Poco dopo lo sparo, i testimoni vedono un uomo fuggire da una casa affittacamere dall’altra parte della strada dove si trova il Lorraine Motel.
Quell’uomo si chiama James Earl Ray.
King muore un’ora dopo al St. Joseph Hospital.
Michael King nasce ad Atlanta il 15 gennaio 1929.
Il padre è un reverendo battista e la madre è organista del coro di chiesa.
Cambia il nome in Martin Luther King dopo un viaggio nella Berlino nazista degli anni ’40, dove viene affascinato dalla figura del riformatore tedesco Martin Lutero. Dopo gli studi teologici nelle Università di Atlanta e Boston, a 25 anni diventa reverendo della Chiesa battista di Dexter Avenue a Montgomery, in Alabama, una delle città nel profondo Sud americano dove la tensione razziale raggiunge i picchi di maggior violenza.
Ed è proprio a Montgomery dove Martin Luther King balza alle cronache nazionali.
La storia che lo vede protagonista coinvolge due donne e l’intero movimento afroamericano per i diritti civili.
La prima donna nera che resta al suo posto a bordo di un autobus durante la segregazione razziale negli Stati Uniti d’America del Sud è Claudette Colvin, studentessa di Montgomery, in Alabama. Viene arrestata il 2 marzo 1955.
E’ il primo atto conosciuto di disobbedienza civile pubblico e plateale di un nero contro le regole dei bianchi in era moderna.
Prima di Claudette Colvin c’erano state Harriet Tubman e Sojourner Truth, e mille altre donne e uomini ormai dimenticati tra il Seicento e l’Ottocento.
A quel tempo, secondo la convenzione che determina la segregazione a Montgomery e nello Stato dell’Alabama, su un autobus i neri siedono sempre dietro (dieci seggiolini disponibili), i bianchi invece si posizionano davanti (10 sedili), mentre i posti centrali sono misti (16 intermedi), e si possono utilizzare solo se tutti gli altri sono occupati, ma la precedenza spetta comunque ai bianchi.
Il 1 dicembre 1955, anche Rosa Parks sale sul bus 2857 della rete dei trasporti pubblici della città, alla fermata di Capitol Heights, la stessa in cui era salita Claudette Colvin, occupa il primo posto dietro all’area riservata ai bianchi.
Dopo tre fermate, l’autista James F. Blake le intima di alzarsi e spostarsi in fondo all’automezzo per cedere il posto ad un passeggero bianco salito dopo di lei.
Rosa si rifiuta e Blake avverte la polizia.
La sarta Rosa Parks viene subito arrestata e incarcerata per condotta impropria e per aver violato le norme cittadine sulla segregazione.
Ma i razzisti dell’Alabama fanno male i loro conti, perché l’atto di Rosa è concordato con i vertici della rete delle associazioni antirazziste dell’Alabama e nazionali, per far scattare la scintilla della ribellione non violenta.
In seguito all’arresto illegale di Rosa Parks, cinquanta leader afroamericani, guidati dall’allora sconosciuto pastore protestante Martin Luther King, avviano la campagna di boicottaggio dei bus di Montgomery.
Per 381 giorni, i pullman della città restano immobili, come impietriti e la protesta dei neri d’America esplode in tutto il paese.
Nel 1956 il caso di Rosa Parks giunge alla Corte Suprema degli Stati Uniti.
E dopo la sua storica sentenza la segregazione sui pullman pubblici dell’Alabama diviene incostituzionale.
Le prime campagne di Martin Luther King puntano all’abolizione del sistema di norme segregazioniste vigenti soprattutto negli stati del Sud, note come le “Leggi Jim Crow”.
Il 17 maggio 1957 si spinge fino al Lincoln Memorial di Washington, dove tiene uno dei suoi primi memorabili discorsi, intitolato “Give Us the Ballot” (“Dateci il voto”).
Il 20 settembre 1958, mentre sta firmando alcune copie del suo libro “Marcia verso la libertà” in un negozio di Harlem, King viene pugnalato al petto con un tagliacarte da una donna afroamericana disturbata mentalmente.
Il 1 febbraio 1960, gli studenti di un college della Carolina del Sud non vengono serviti al tavolo della mensa per motivi razziali: è la miccia che innesca il movimento studentesco per l’integrazione che in tre mesi si diffonde in 50 atenei degli Stati del Sud.
King partecipa al sit-in davanti a un grande magazzino di Atlanta il 19 ottobre 1960.
Il 15 dicembre 1961 King si reca ad Albany, cittadina della Georgia, su invito di William Anderson, leader di un movimento antisegregazionista, e prende parte a una manifestazione che si conclude con un arresto di massa.
Il 2 maggio 1963, a Birmingham, in Alabama, Martin Luther King, James Bevel, Fred Shuttlesworth organizzano una pubblica dimostrazione che coinvolge migliaia di giovani, molti di loro sono bambini piccoli usciti da una chiesa locale.
Viene dispersa con tale violenza (i cani vengono lanciati dalla polizia contro i manifestanti), da destare l’orrore del presidente J.F.Kennedy, deciso a rilanciare il sostegno del potere centrale alle rivendicazioni dei neri.
Pochi mesi prima di essere ucciso a Dallas il 22 novembre 1963, Kennedy presenta un progetto di legge organico per abolire la separazione in tutti i locali pubblici e nelle scuole. Per costringere il Congresso ad approvare il provvedimento, le principali associazioni antirazziste guidate anche da Martin Luther King organizzano la marcia su Washington, il 28 agosto 1963.
Avviene la grande rivoluzione nel cammino dell’emancipazione dei neri d’America.
È il giorno della marcia su Washington per il lavoro e la libertà a sostegno dei diritti civili ed economici per gli afroamericani.
Giunge dopo il massacro del 2 maggio 1963, a Birmingham, in Alabama, dove una analoga marcia viene repressa nel sangue dalla polizia con i cani addestrati lanciati contro i manifestanti.
L’evento viene organizzato dai cosiddetti “The Big Six”: Asa Philip Randolph , James Farmer, John Lewis, Martin Luther King Jr., Roy Wilkins e Whitney Young.
2000 autobus, 21 treni e 10 aerei a noleggio, un numero imprecisato di auto private convergono su Washington.
Provengono da migliaia di puntini sparsi nella mappa degli Stati Uniti d’America.
Portano cestini da picnic, brocche d’acqua, Bibbie, e la loro voglia di marciare, cantare e pregare in protesta contro le discriminazioni.
Intonano a squarciagola canzoni come “Oh Freedom” e “We Shall Overcome”.
Li seguono 1700 inviati da tutto il mondo, con taccuini, telecamere, macchine fotografiche, unità mobili radiofoniche.
Li tengono d’occhio 5900 agenti di polizia, 2000 della Guardia Nazionale, 3000 soldati.
A vedere la scena dall’alto, è una marea umana.
La marcia determina l’approvazione del “Civil Rights Act” del 1964, e del “Voting Rights Act” nel 1965.
Sul palco suonano e cantano Bob Dylan, Joan Baez, la regina del gospel Mahalia Jackson, Peter, Paul & Mary, Marian Anderson.
Nella bolgia generale, si alternano gli oratori.
E Martin Luther King Jr. pronuncia al Lincoln Memorial il suo storico discorso “I have a dream”, invocando la fine del razzismo e la pace tra bianchi e neri.
Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!.
Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno.
Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.
Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.
Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.
Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.
Ma non soltanto.
Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.
Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.
Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.
E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: “Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente”.
Tutto è in movimento, anche la rabbia dei ghetti dove sono costretti a vivere milioni di persone di colore.
Le manifestazioni in Florida portano a 285 arresti.
Gli attivisti lasceranno la città solo alla notizia dell’imminente disegno legislativo sui diritti civili, firmato dal nuovo presidente Lyndon Johnson il 2 luglio 1964.
Sempre nell’estate del 1964 King si sposta in alcune città del Mississippi, dove molti membri della rete antirazzista sono stati uccisi o fatti sparire.
Il 10 dicembre 1964, arriva per Martin Luther King il riconoscimento più importante. A Oslo, riceve il premio Nobel per la pace. I 54.000 dollari del premio vengono divisi tra i vari movimenti per i diritti civili.
L’uccisione di Malcom X del 21 febbraio 1965 fa aumentare la rabbia del proletariato nero delle città.
Purtroppo nei quartieri neri sempre più degradati si diffondono in maniera devastante la delinquenza e la droga.
Il 7 marzo 1965, in Alabama, esplode la violenza razzista durante la prima delle tre marce da Selma a Montgomery.
È la domenica di sangue, “Bloody Sunday”: 600 dimostranti neri che marciano pacificamente vengono duramente bastonati dalla polizia durante l’attraversamento del Edmund Pettus Bridge, Martin Luther King viene arrestato.
Come J.F. Kennedy nel 1963, anche il presidente Lyndon B. Johnson nel 1965 ritiene doveroso un intervento del governo federale e presenta al Congresso il “Voting Rights Act”.
Sul piano dei diritti civili la battaglia per l’integrazione può dirsi vinta, ma solo in modo apparente.
Alla media borghesia nera e benestante diviene possibile fare carriera sul lavoro, nell’amministrazione federale, nell’esercito e persino nella vita politica.
Per il proletariato delle grandi metropoli la situazione resta pressoché immutata.
Contrario al coinvolgimento degli Usa nella guerra in Vietnam, Martin Luther King chiede una moratoria dei bombardamenti e prende parte alle principali manifestazioni pacifiste.
La storia di Martin Luther King si incrocia con quella di Bob Kennedy.
Bob o Bobby, come lo chiamano in modo affettuoso in famiglia e tra gli amici, è il fratello di John Fitzgeral Kennedy.
Viene nominato Attorney General, Ministro della Giustizia, e svolge un ruolo di consigliere chiave per questioni interne e internazionali.
Bob Kennedy è un riformatore di cui l’America progressista ha un gran bisogno.
Bob è un politico di razza, uno che sa parlare al cuore e alla testa del suo popolo, bianco e nero, perché, lui pensa, solo insieme possono raggiungere l’abolizione di ogni discriminazione, la fine della schiavitù culturale, l’onta della Storia americana.
Kennedy vince le primarie in Indiana e Nebraska, perde in Oregon, ma si aggiudica ancora Dakota del Sud e California, e si apre la strada per la candidatura alla Casa Bianca.
Arriva l’epilogo finale.
Il 5 giugno 1968 Robert Kennedy viene ferito all’hotel Ambassador di Los Angeles, pochi minuti dopo aver terminato il discorso con cui celebra la vittoria nelle primarie del “Partito Democratico” in California, in vista delle successive elezioni presidenziali.
L’attentatore, Sirhan Sirhan, un palestinese cristiano con cittadinanza giordana, gli spara tre proiettili ravvicinati calibro 22.
Lo uccide perché lo colpisce al cuore.
Robert Kennedy muore il giorno successivo, 26 ore dopo il suo ferimento.
Il sogno di cambiamento si spezza per sempre.
Sono gli anni dei grandi sogni di emancipazione degli afroamericani.
Sono gli anni della speranza di cambiamento. Ma in America il razzismo non si è spento e l’assassinio di Martin Luther King, il 4 aprile 1968, e l’uccisione di Bob Kennedy il 6 giugno 1968, restano le tragiche prove. Ma resta la memoria, quella impressa in questa questa puntata di “Gli occhi della Storia” di Giornale Radio, perché nulla vada mai dimenticato.