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A cura di Daniele Biacchessi
Il 27 gennaio si celebra in tutto il mondo la giornata della memoria della Shoah che ricorda lo sterminio pianificato da parte nazista di milioni di ebrei, oppositori politici, minoranze. Il simbolo dell’Olocausto è la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz. Vedo, racconto, e scrivo. Lo sguardo della Storia passa proprio dagli occhi dei testimoni, come quelli di Primo Levi che da sopravvissuto diventa poi lo scrittore della memoria dei campi di concentramento nazisti. Lui si ricorda quel giorno d’inverno di tanti anni fa. E’ il 27 gennaio 1945. Sono le ore cruciali dell’avanzata americana e sovietica verso Berlino, il cuore del nazismo, dove Hitler e i suoi gerarchi sono sempre più accerchiati. Cadono ad uno ad uno i fronti di guerra e le truppe riunite intorno all’Asse (Germania, Italia, Giappone), lasciano sul campo una lunga scia di orrore e di morte. I soldati dell’Armata Rossa superano il cancello del campo di sterminio nazista di Auschwitz, già evacuato da alcuni giorni. Attraversano il grande cancello di ferro che porta la scritta “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi, la stessa che hanno visto 960 mila ebrei, 74 mila polacchi, 21 mila rom, 15 mila prigionieri di guerra sovietici e 10 mila persone di altre nazionalità sterminati in pochi anni dalle SS naziste. Quel giorno termina il più imponente sterminio di massa della storia avvenuto in un unico luogo. Ma Auschwitz non è il solo campo di concentramento messo in piedi da Adolf Hitler e Himmler. Paesi disseminati da lager, come spiega Primo Levi Per comprendere questa storia bisogna tornare indietro di qualche anno. Il 1 settembre 1939, la Germania nazista invade la Polonia scatenando la Seconda Guerra Mondiale. Dopo l’invasione dell’Unione Sovietica da parte dei tedeschi nel giugno 1941, le SS di Himmler praticano quella che viene chiamata la “soluzione finale”, l’eliminazione di massa di intere comunità di ebrei in Europa. Sempre nel 1941 vengono introdotte camere a gas mobili montate su autocarri e i nazisti costruiscono numerosi campi di sterminio come quello di Auschwitz, in Polonia. Fa parte di un complesso più grande che comprende anche il campo di sterminio di Birkenau e il campo di lavoro di Monowitz. Ad Auschwitz-Birkenau alla fine della primavera del 1943, funzionano quattro camere a gas che utilizzano la sostanza tossica nota come Zyklon B. Nell’estate del 1944, l’offensiva sovietica si spinge fino alla Vistola, 200 chilometri dal campo di concentramento di Auschwitz e inizia ad espandersi verso il cuore della Germania. Sono i giorni in cui Hitler e Himmler sentono il fiato sul collo e procedono con lo smantellamento del lager. Le forze sovietiche entrano nel campo di Majdanek, vicino a Lublino, Polonia, nel luglio del 1944. Nell’estate del 1944, l’Armata Rossa conquista anche le zone in cui si trovano i campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka. Nel novembre del 1944, due mesi prima della liberazione, Himmler ordina la distruzione delle camere a gas di Birkenau rimaste ancora in funzione e il 17 gennaio 1945 ad Auschwitz viene fatto l’ultimo appello generale dei prigionieri. Le SS evacuano il campo a metà gennaio 1945. Migliaia di prigionieri vengono uccisi mentre altri, circa 60 mila, sono costretti a un’evacuazione forzata e a prendere parte a quelle che sarebbero poi divenute famose come “marce della morte”. Le marce procedono verso nord-ovest, fino a Gliwice, per 55 chilometri lungo i quali vengono raccolti anche i prigionieri dei sottocampi dell’Alta Slesia Orientale (Bismarckhuette, Althammer e Hindenburg), e verso ovest, per circa 60 chilometri, in direzione di Wodzislaw. Durante il cammino, le SS uccidono 15 mila prigionieri. Chi sopravvive viene invece caricato su treni merci e trasportato nei campi di concentramento in Germania. Si arriva all’epilogo finale. Il 27 gennaio 1945, verso mezzogiorno. Le prime truppe sovietiche del generale Kurockin varcano il cancello di Auschwitz, trovano 7 mila prigionieri lasciati nel campo. Magri, denutriti, molti sono bambini sotto gli otto anni. Un mucchio di cadaveri come ricorda Primo Levi. I sovietici trovano cumuli di vestiti e tonnellate di capelli pronti per essere venduti. E poi occhiali, valigie, utensili da cucina e scarpe. E vengono rinvenute fosse dove sono sepolti i resti di un pezzo di umanità. Da quel cancello di Auschwitz con la scritta lugubre “Arbeit macht frei” ci è passata anche Liliana Segrè e centinaia di migliaia di ebrei e oppositori politici provenienti da ogni parte d’Europa. I suoi sono gli occhi della Storia e della memoria sono gli occhi di una bambina. I suoi occhi hanno visto l’orrore a soli 13 anni, quando, il 30 gennaio 1944, viene portata al Binario 21 della Stazione Centrale di Milano. Poi viene caricata su un treno merci. Infine viene deportata nel campo di concentramento e sterminio di Auschwitz e dall’inferno del nazismo. Oggi Liliana Segrè ha 90 anni. Da Auschwitz è riuscita a portare a casa la pelle per miracolo. E’ una testimone, una delle ultime ancora in vita. Ha speso buona parte della sua vita a ricordare ai ragazzi, anche a quelli più giovani, che non si deve mai abbassare la guardia, perché il passato può ancora ritornare. Liliana Segrè dice che la violenza, la morte, la distruzione, la sopraffazione dell’uomo su un’altro uomo sono potuti accadere solo grazie alla indifferenza. E per affermare questo ed altri principi resta sotto scorta. Liliana ha perfettamente ragione. Il suo esempio, la sua testimonianza rappresentano oggi l’anticorpo della nostra ancora fragile democrazia.
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