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Ogni anno, il 21 marzo, primo giorno di primavera, Libera celebra la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. L’iniziativa nasce dal dolore di una mamma che ha perso il figlio nella strage di Capaci e non sente pronunciare mai il suo nome. Un dolore che diventa insopportabile se alla vittima viene negato anche il diritto di essere ricordata con il proprio nome. Dal 1996, ogni anno, una città diversa, un lungo elenco di nomi scandisce la memoria che si fa impegno quotidiano. Il 1° marzo 2017, con voto unanime alla Camera dei Deputati, è stata approvata la proposta di legge che istituisce e riconosce il 21 marzo quale “Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie”.
E oggi raccontiamo quattro storie di uomini lasciati soli dallo Stato e dalle istituzioni, poi uccisi dalla mafia.
CARLO ALBERTO DELLA CHIESA
Palermo. 3 settembre 1982. Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa è a bordo di una A112, viaggia insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro che conduce la vettura. Li segue l’agente di scorta Domenico Russo, alla guida di una ‘Alfetta’ blindata. I sicari di Cosa Nostra sono in sella a due moto di grossa cilindrata. Ora si trovano in via Isidoro Carini, a pochi passi dal Teatro Politeama. Affiancano A112 e l’alfetta e colpiscono con i kalashnikov. Carlo Alberto Dalla Chiesa, Emanuela Setti Carraro e Domenico Russo vengono uccisi sul colpo. È forte l’indignazione del paese dopo l’assassinio di Carlo Alberto Dalla Chiesa. Del sentimento degli italiani si fa interprete il Cardinale di Palermo Salvatore Pappalardo, il giorno dei solenni funerali
Della Chiesa.
Ma restano le intuizioni di un grande investigatore che ha svolto il suo mestiere al servizio dello Stato. Fino al giorno in cui la mafia gli ha presentato il conto.
GIUPPE FAVA
Catania. 5 gennaio 1984. Le 10 di sera. Giuseppe Fava, giornalista e scrittore, posteggia la sua Renault 5. Deve solo attraversare la strada ed entrare nel teatro. Lo sta aspettando la sua nipotina Francesca, impegnata nelle repliche di una commedia. Ma in quel teatro, Giuseppe Fava non entrerà mai. Un sicario lo ammazza con 5 proiettili di calibro 7,65.
Solo pochi giorni prima, il 28 dicembre 1983, Giuseppe Fava viene intervistato da Enzo Biagi per il programma di Rete 4, Film Story. Per queste parole Fava viene condannato a morte dalla mafia.
LIBERO GRASSI
Palermo. 29 agosto 1991. Sono le 7,30. Libero Grassi è un imprenditore che si oppone alle cosche mafiose. Con coraggio e umiltà. Ma è solo, senza protezione. I sicari di Cosa Nostra lo attendono all’angolo tra via D’Annunzio e via Alfieri. Lo uccidono senza pietà, nella sua Palermo, davanti a numerosi testimoni. Libero Grassi è proprietario della Sigma, specializzata in biancheria intima. Pigiami, boxer, slip, vestaglie esportate in Europa e nel mondo. Una società pulita, con i conti a posto che lavora nel libero mercato italiano. Vanta un giro d’affari di 7 miliardi di vecchie lire annui. Grassi è un uomo coraggioso, combatte una battaglia di legalità contro estorsori ed usurai. Si rifiuta di pagare il pizzo per salvaguardare la sua dignità. Lo fa alla luce del sole, in televisione, alla radio, sulle pagine dei principali quotidiani. Il 30 agosto 1991 invia una lettera al Corriere della Sera e racconta tutta la sua solitudine, in un territorio dove la mafia controlla i gangli vitali dell’economia.
Poi Libero Grassi si reca al Maurizio Costanzo Show e lì, sul palcoscenico del Teatro Parioli, davanti alle telecamere della tv, firma pure lui la sua condanna a morte.
PADRE PINO PUGLISI
Palermo. 15 settembre 1993. Padre Pino Puglisi festeggia il suo 56esimo compleanno. Ma per lui è un giorno di normale lavoro alla parrocchia di San Gaetano, quartiere Brancaccio, periferia ovest di Palermo. Alle otto di sera, dopo le ultime visite, Puglisi telefona da una cabina. Quando riattacca la cornetta, si accorge di essere seguito. Pochi minuti dopo, davanti al portone di casa, in piazza Anita Garibaldi, infila le chiavi nella serratura e sente una voce. “Padre Pino, questa è una rapina”. Si volta, sorride e risponde: “Me l’aspettavo”.
Un colpo solo, sparato con una pistola semiautomatica calibro 7,65 spegne la speranza di un sacerdote di frontiera, impegnato nella lotta al crimine organizzato come ricorda il 17 settembre 1993, Giovanni Paolo II, al funerale di Don Pino Puglisi.
Sono quattro racconti del passato che si snodano tra Palermo e Catania. Quattro nomi e cognomi che ancora oggi rappresentano i valori della legalità. Sono le storie di un generale, un giornalista, un imprenditore e un sacerdote. Sono le storie che valgono ogni 21 marzo, giorno di primavera.
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