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9 maggio 1978. Dopo 55 giorni, le Brigate Rosse fanno trovare il corpo ormai senza vita del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro in via Caetani a Roma, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa. Il messaggio è simbolico: via Caetani si trova a pochi metri dalla sede del Pci in via delle Botteghe Oscure e della Dc in piazza del Gesù. Moro muore nei giorni del Governo di unità nazionale, il punto politico di applicazione del “compromesso storico”, con i comunisti che entrano per la prima volta nelle stanze del potere. Ma per arrivare a questo giorno, spartiacque della Storia del nostro Paese, dobbiamo far ritornare indietro i frame di questo film, al 16 marzo il giorno del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione degli uomini della scorta in via Fani, da parte di un nucleo operativo delle brigate Rosse.
E’ il 16 marzo 1978 e sono le 9.
Il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro esce dalla sua abitazione in Via del Forte Trionfale. Lo proteggono Domenico Ricci, Raffaele Jozzino,Giulio Rivera. Francesco Zizzi, Oreste Leonardi, gli uomini della scorta.
Alle 9,03 quando il convoglio con a bordo Moro raggiunge via Fani si scatena l’inferno. Gli uomini della scorta vengono tutti uccisi. Moro viene rapito e trasportato nell’appartamento di via Montalcini, interno 1 a Roma. I brigatisti iniziano l’interrogatorio di Moro., poi telefonano all’Ansa. Sono le 10,10: ”Questa mattina abbiamo sequestrato il presidente della Democrazia Cristiana ed eliminato la sua guardia del corpo,teste di cuoio di Cossiga. Seguirà comunicato.” Alla Camera Pietro Ingrao sospende i lavori e annuncia il rapimento di Moro. Bettino Craxi,segretario del Partito Socialista: “E’ ferita la Repubblica e noi partecipiamo all’angoscia degli amici della Democrazia Cristiana.” Enrico Berlinguer,segretario del Partito Comunista: “Era prevedibile,e direi per una certa misura scontato,che di fronte a un avanzare delle forze popolari e democratiche e a un avanza della loro unità,vi sarebbe stato un tentativo di frenare un processo politico positivo.” I sindacati proclamano lo sciopero generale. Luciano Lama,segretario della Cgil parla in piazza.
Nella notte, il governo Andreotti ottiene la fiducia. C’è l’appoggio dei comunisti. “Con quello che era accaduto in via Fani abbiamo accelerato il dibattito parlamentare fino a votare in poche ore la fiducia al mio esecutivo.”, dice Andreotti. Il processo è in corso e fuori accade di tutto. Il 18 le Br emettono il primo comunicato. Lo scrive Mario Moretti nell’appartamento di via Montalcini 8,interno 1.
“Giovedì 16 marzo un nucleo armato delle Brigate Rosse ha catturato e rinchiuso in un carcere del popolo Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. La sua scorta armata, composta da cinque agenti dei famigerati Corpi Speciali, è stata completamente annientata…….”
Sempre il 18 marzo. Roma,via Gradoli 96,interno 11. Gli inquilini dello stabile chiamano la polizia: “Si sentono rumori sospetti,il suono di una ricetrasmittente e il ticchettio di una macchina da scrivere. Presto venite.” Le forze dell’ordine arrivano davvero,bussano alla porta ma l’appartamento è vuoto. Si rinuncia a perquisirlo. Si tratta della base più importante delle Brigate rosse nella capitale,dove risiedono Barbara Balzerani e Mario Moretti. Alle 20, a Milano. Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci del Centro Sociale Leoncavallo vengono uccisi da tre killer con otto colpi di pistola:due di loro portano impermeabili bianchi,uno un giubbotto color marrone chiaro. Li ammazzano in via Mancinelli,un luogo isolato,poco illuminato e vicino alla casa di Fausto Tinelli. E’ un commando della “Brigata Franco Anselmi” della destra eversiva a rivendicare il duplice omicidio.
I brigatisti nel covo di via Montalcini sottopongono Aldo Moro ad un costante interrogatorio,da loro definito “processo”. Ma lo Stato non si piega. Cresce il partito della fermezza e il 21 marzo il Governo vara per decreto le norme antiterrorismo d’emergenza. La pena per i sequestri di persona sale a 30 anni,fino all’ergastolo in caso di morte del rapito. I proprietari di appartamenti e immobili sono obbligati a comunicare entro 48 ore i nomi degli affittuari o degli acquirenti. 25 marzo. I giornali ricevono il secondo comunicato delle Brigate rosse. Viene scritto da Mario Moretti.
Il 29 marzo arriva il comunicato n.3 : “L’interrogatorio, sui cui contenuti abbiamo già detto, prosegue con la completa collaborazione del prigioniero..”
In quel pomeriggio vengono recapitate tre lettere di Moro. La prima è per la moglie Eleonora. La seconda è indirizzata a Nicola Rana. La terza è per il ministro dell’Interno,Francesco Cossiga. E’ l’inizio del lungo calvario di Moro.
Il 30 marzo. Una riunione del vertice democristiano ribadisce la linea della fermezza. Il giorno dopo,l’”Osservatore romano” offre la disponibilità del Vaticano ad operare una soluzione del sequestro. Il 2 aprile Romano Prodi partecipa ad una seduta spiritica in una casa dell’Appennino tosco-emiliano. E il fantasma che fa? Evoca tre località dove può trovarsi Moro:Gradoli,Bolsena,Viterbo. Lo Stato reagisce al rapimento con una retata. 237 perquisizioni in abitazioni,100 fermi,40 arresti. L’operazione si basa però su elenchi della sinistra extraparlamentare. Risalgono agli inizi degli anni settanta. Il Pci protesta. I postini delle Brigate rosse,Morucci e Faranda sono già al lavoro. E’ il comunicato n.4. Intanto arriva una lettera di Moro indirizzata a Benigno Zaccagnini. E contiene accuse dure,che hanno un peso politico specifico.
Il 5 aprile, all’interno della Democrazia Cristiana una minoranza favorevole alla trattativa fa sentire la sua voce e il presidente del Senato,Amintore Fanfani,prende contatti con il segretario del Psi Bettino Craxi. Si verifica uno scontro violento tra i familiari di Aldo Moro e il segretario democristiano Zaccagnini. Chiedono che la Dc accetti subito lo scambio di prigionieri e imponga la decisione al Governo. In caso contrario minacciano di denunciare in pubblico i dirigenti dello scudo crociato come assassini. Ed è Moro, dalla prigione del popolo che invita la moglie Eleonora a premere sui partiti affinché si possa convincere il partito della fermezza.
Dalla prigione,Aldo Moro continua a sperare. Una liberazione? Una trattativa? Un atto di indulgenza del Papa? Arriva il comunicato n. 5 ed anticipa il contenuto di uno scritto di Moro rivolto a Paolo Emilio Taviani. Il 15 mattina le Brigate rosse annunciano la fine del processo e la condanna a morte del sequestrato. E’ tutto stabilito e riportato nel comunicato n.6. “…….Per quel che ci riguarda il processo ad Aldo Moro finisce qui.
Processare Aldo Moro non è stato che una tappa, un momento del più vasto processo allo Stato ed al regime che è in atto nel paese e che si chiama:Guerra di classe per il Comunismo.”
Il 17,l’associazione umanitaria Amnesty International si dice pronta a gestite un tentativo di mediazione. Forse è uno spiraglio per una trattativa. Il 18 aprile. E’ il giorno dei misteri non ancora risolti. Nell’appartamento di via Gradoli 96 c’è una infiltrazione d’acqua. Gli inquilini chiamano per la seconda volta la polizia. La porta viene sfondata. Viene trovata una doccia a telefono lasciata aperta e appoggiata al muro grazie al sostegno di una scopa. Mario Moretti e Barbara Balzerani sono assenti. Si sono dileguati da poche ore.
Passano poche ore. Di mattina, un’anonima telefonata al quotidiano il Messaggero annuncia “l’avvenuta esecuzione del presidente democristiano”. Viene fornito l’indirizzo esatto dove poter recuperare la salma. Moro,secondo l’interlocutore,sarebbe immerso “nei fondali limacciosi del lago Duchessa,località Cartone(Rieti),zona confinante tra l’Abruzzo e il Lazio”. Il comunicato brigatista é invece un depistaggio. Chi scrive quel documento è Antonio Chicchiarelli,detto Tony il falsario,un uomo della Banda della Magliana, poi assassinato nel 1984. Il 19 aprile, Lotta Continua pubblica un appello a favore della trattativa. Porta le firme di numerosi intellettuali di area laica e cattolica. Anche la Cei, la Conferenza Episcopale Italiana, corregge le sue posizioni e si schiera per la mediazione. E la Caritas internazionale viene designata come intermediaria per i contatti con i brigatisti. Il 20 aprile. Le Brigate rosse fanno pervenire ai giornali il vero comunicato n.7 e una foto: Moro è ritratto con una copia di “Repubblica” del giorno prima. Al Governo e alla Dc si danno 40 ore di tempo.
Il segretario socialista Bettino Craxi rompe gli indugi e tenta di smuovere la trattativa. Incarica Giuliano Vassalli di individuare i nomi dei detenuti politici che si possono liberare senza andare contro alla legge. Le Br cercano un’altra strada. Quella del viceparroco romano don Antonello Pennini, al quale consegnano due lettere di Aldo Moro.
Si riunisce la direzione della Dc. La linea della fermezza è confermata. Bocciata invece la richiesta degli amici di Moro di convocare il Consiglio nazionale e la direzione del partito in Piazza del Gesù. A cinquanta metri anche Botteghe Oscure lancia un duro monito a tutti i partiti della maggioranza perché venga rispettata la fermezza. Il 21 aprile,Dc e Pci respingono la proposta dei socialisti. Il giorno dopo,l’”Osservatore romano” mette nero su bianco le parole di Paolo VI. Chiede che Moro sia liberato. Eleonora Moro denuncia le interferenze della Dc. Il termine “senza condizioni” viene inserito successivamente su pressione di Giulio Andreotti. 24 aprile arriva il comunicato n.8. Parla Paolo VI.
Tutto è in movimento. Il tentativo di mediazione dei socialisti è avviato. Gli autonomi Lanfranco Pace e Franco Piperno incontrano Valerio Morucci e Adriana Faranda,i postini del caso Moro ma il 28 Andreotti boccia qualsiasi possibilità di liberare prigionieri politici.