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Paolo Borsellino: un giudice condannato a morte | Gli Occhi della Storia

today19 Luglio 2022 46

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Iniziamo così la storia di Paolo Borsellino, intervistato poco dopo morte di Giovanni Falcone. Iniziamo così perché l’inscindibilità dei due amici e colleghi è tale da rendere la vita dell’uno intrecciata all’altro e perché in fondo questa è una delle poche confidenze umane di un uomo entusiasta, retto, ironico e disciplinato, la cui vicenda è legata a quella dell’amico.
Falcone e Borsellino sono ormai quasi un solo cognome che alimenta un simbolo di coraggio ma che all’interno di quella fetta di storia rivela anche l’Italia meschina, che congiurava alle spalle e persino davanti, mostrandosi ipocritamente solidale. Mostra l’italietta vigliacca che aspetta la morte per parlare di martiri e si nasconde di fronte al male.
La storia di Paolo Borsellino parte il 19 gennaio 1940. Cresce in in una famiglia borghese, nell’antico quartiere di origine araba della Kalsa, dove vivono tra gli altri proprio Giovanni Falcone e Tommaso Buscetta.
Paolo Borsellino si laurea in Giurisprudenza il 27 giugno 1962 all’età di 22 anni con il massimo dei voti. Nel 1963 supera il concorso per entrare in magistratura, nel 1967 diventa pretore a Mazara del Vallo, nel 1969 pretore a Monreale. Nel 1975 Borsellino viene trasferito al tribunale di Palermo; a luglio entra all’Ufficio istruzione processi penali sotto la guida di Rocco Chinnici. Con il Capitano Basile lavora alla prima indagine sulla mafia: da questo momento comincia il suo grande impegno sconfiggere l’organizzazione mafiosa.
Il 1980 vede l’arresto dei primi sei mafiosi grazie all’indagine condotta da Basile e Borsellino, ma nello stesso anno Emanuele Basile viene ucciso vigliaccamente davanti alla moglie e la figlia.
Una barbarie che spinge le autorità a dare la scorta per la famiglia Borsellino.
È un anno dove i vertici mafiosi subiscono un cambiamento e salgono al potere i corleonesi di Totò Riina. Sanguinari, autentici macellai privi di coscienza che innescano un’era dove anche le poche regole della mafia vengono ignorate.
Da quel momento viene costituito un pool che comprende quattro magistrati: Falcone, Borsellino e Barrile lavorano uno a fianco all’altro, sotto la guida di Rocco Chinnici. Un uomo che conosce e segue da tempo l’evoluzione della mafia che qui spiega in un’intervista del 1983.

Rocco Chinnici per Borsellino è quasi una figura paterna, considerata tale probabilmente per aver perso il padre troppo giovane, appena pochi giorni dopo la laurea. Il pool antimafia è una novità in ambito giudiziario come racconta lo stesso Borsellino.

Chinnici scrive una lettera al presidente del tribunale di Palermo per sollecitare un encomio nei confronti di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, utile per eventuali incarichi direttivi futuri. L’encomio richiesto non arriverà.
Al contrario anche Chinnici viene ucciso da un attentato mafioso il 4 agosto 1983 Borsellino è distrutto: dopo Basile anche Chinnici viene strappato alla vita. Il leader del pool, il punto di riferimento, viene a mancare.
A sostituire Chinnici arriva a Palermo il giudice Caponnetto e il pool, riesce ad andare avanti raggiungendo altri risultati importanti.
Nel 1984 viene arrestato Vito Ciancimino e Tommaso Buscetta diventa un pentito di straordinaria importanza. Borsellino sottolinea in ogni momento il ruolo fondamentale dei pentiti nelle indagini e nella preparazione dei processi.
Viene istituito il celebre Maxiprocesso ma viene ucciso il commissario Beppe Montana. Il clima è terribile: Falcone e Borsellino vengono immediatamente trasferiti all’Asinara per concludere le memorie, predisporre gli atti senza correre ulteriori rischi.
Per quanto oggi sembri sconcertante l’opinione pubblica inizia a criticare i magistrati, le scorte e loro il ruolo, con allusioni imbarazzanti per chi le pronuncia.
Il 19 dicembre 1986 Borsellino viene trasferito alla Procura di Marsala. Una scelta la sua che suscita polemiche ma che nasconde un’intenzione lucida come ricorda Umberto Lucentini, biografo di Paolo Borsellino.

Nel 1987 Caponnetto è costretto a lasciare la guida del pool a causa di motivi di salute. Tutti a Palermo attendono la nomina di Giovanni Falcone al posto di Caponnetto.
Il CSM non è dello stesso parere e comincia a farsi largo la possibilità di distruggere il pool.
Borsellino scende in campo e comincia una vera e propria lotta politica: raccontando cosa stia accadendo alla procura di Palermo; sui giornali, in televisione, nei convegni, continua a lanciare l’allarme. A causa delle sue dichiarazioni Borsellino rischia il provvedimento disciplinare. Solo il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga interviene in suo appoggio chiedendo di indagare sulle dichiarazioni del magistrato per accertare cosa stia accadendo a Palermo.
l 31 luglio il CSM convoca Borsellino che rinnova le accuse e le sue perplessità. Il 14 settembre il CSM si pronuncia: è Antonino Meli, per anzianità, a prendere il posto che tutti aspettavano per Falcone.
A Roma viene finalmente istituita la superprocura e vengono aperte le candidature; Falcone è il numero uno I due magistrati lottano uno a fianco all’altro, temono che la superprocura possa divenire un arma pericolosa se in possesso di magistrati che non conoscono la mafia siciliana.
Nel Maggio 1992 Giovanni Falcone raggiunge i numeri necessari per vincere l’elezione a superprocuratore. Borsellino e Falcone esultano, ma il giorno dopo
la mafia compie la strage di Capaci.

Da quel momento Borsellino cambia inevitabilmente, qualcosa dentro di lui prende una direzione umana diversa come ricorda la sorella.

A Borsellino viene offerto di prendere il posto di Falcone nella candidatura alla superprocura, ma rifiuta. Il suo obbiettivo ora è preciso, determinato com’è a dare la caccia agli assassini dell’amico. Per questo resta a Palermo, nella procura dei veleni, per continuare la lotta alla mafia.
Come è naturale vuole collaborare alle indagini sull’attentato di Capaci e Antonio Ingroia ricorda proprio lo stato d’animo di Borsellino in quel momento.

I giorni passano e si arriva al 25 giugno, quando c’è un incontro pubblico al quale Paolo Borsellino viene invitato. È trascorso un mese dall’assassinio di Falcone. Le parole di Borsellino sono dolorose a taglienti: dirette al CSM, e la magistratura dove segnala come ci fosse un disegno per colpire lui e Falcone.

È la sua ultima apparizione pubblica.
Le indagini intanto proseguono, i pentiti aumentano e il giudice cerca di sentirne il più possibile.
Arriva la volta dei pentiti Messina e Mutolo e Cosa Nostra non è più un luogo grigio inespugnabile. Le sue fondamenta diventano sempre più nitide e visibili. Per questo lotta anche per poter avere la delega per ascoltare il pentito Mutolo. Insiste e alla fine il 19 luglio 1992 alle 7 di mattina gli viene comunicata telefonicamente la delega e potrà ascoltare Mutolo. La verità è vicina, il magistrato probabilmente è ad un passo dalla verità che può inchiodare i mandanti dell’omicidio Falcone e svelare intrecci con altre sfere davvero inquietanti e così Riina ordina anche il suo assassinio in una modalità che descrive Giorgio Bongiovanni di Antimafia 2000.

Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si reca insieme alla sua scorta in via D’Amelio, dove vive sua madre.
Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell’abitazione della madre con circa 100 kg di tritolo a bordo esplode, uccidendo oltre a lui anche Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traia. L’unico sopravvissuto è Antonino Vullo.
Le immagini, i suoni, l’incendio e quel senso di disastro che viene spiegato da un poliziotto arrivato da poco sul posto rivela il disorientamento.

Lo scenario che si para di fronte al personale della locale Squadra Mobile giunto sul posto continua a bruciare, proiettili che a causa del calore esplodono da soli, gente che urla chiedendo aiuto, corpi orrendamente dilaniati». Oltre a danni gravissimi agli edifici ed esercizi commerciali della via.
A seguito della Strage di via D’Amelio, nell’attentato sparisce l’agenda rossa di Paolo Borsellino, un taccuino personale sopra cui lo stesso magistrato ha annotato le più importanti considerazioni e fatti che riguardassero la mafia nell’ultimo periodo (tra cui anche i possibili sospettati della strage di Capaci).
Qui parte una seconda vicenda che viaggia tra lo squallore e l’inquietante e che culmina con un processo sul depistaggio attuato dopo la strage di via d’Amelio, che vede come imputati i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo accusati di concorso in calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra.
Giuseppe Ayala, ex procuratore della Repubblica, pubblico ministero e fresco della nomina alla Camera dei deputati era stato uno dei primi ad arrivare sul luogo della strage, per questo viene chiamato a testimoniare in merito alla sparizione dell’agenda. Ayala darà in diversi momenti testimonianze discordanti, motivate racconta, dalla situazione di grande turbamento emotivo in cui si trovava.

L’agenda non sarà più ritrovata ma le indagini proseguono e il 3 luglio 2003, la Cassazione conferma le condanne all’ergastolo inflitte ai mandanti dell’eccidio. Totò Riina, Pietro Aglieri, Carlo Greco, Giuseppe Calascibetta, Giuseppe Graviano, Francesco Tagliavia, Salvatore Biondino, Cosimo Vernengo, Natale e Antonino Gambino, Giuseppe La Mattina, Lorenzo Tinnirello, Gaetano Scotto, Gaetano Murano e Gaetano Urso.
Questa storia dice tanto ma resta sempre un senso di alienazione verso persone che uccidono, si nascondono, complottano, tradiscono, non hanno valori, principi e alcuna coscienza o rimorso.
Il male di esseri che umani non sono e forse lo sono stati solo in tenera età. Forse.
E dall’altra parte uomini come Paolo Borsellino, animati da un coraggio a tratti entusiasta, altri stanco, spesso amaro, che si alimenta dal paradosso di una società indifferente, pavida.
Il martirio di Falcone e Borsellino è il manifesto di una debolezza che la mafia ha dichiarato con isterismo. Quegli attentati hanno mostrato al mondo quanto ottusa possa essere la violenza. Fragorosa, impressionante all’inizio, debole e indegna persino di essere spiegata, subito dopo. Ecco perché il nome di Borsellino e Falcone rimarranno per sempre.

Ascolta “Gli Occhi della Storia” a cura di Lapo De Carlo, su www.giornaleradio.fm


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