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A cura di Daniele Biacchessi
12 dicembre 1969. Una bomba ad alto potenziale viene collocata nel centro del salone della Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano dove i cosiddetti fittavoli contrattano i loro affari. 17 morti e 88 feriti. E’ la strage che inaugura una lunga stagione di attentati di chiara marca fascista che va sotto il nome di “strategia della tensione” che insanguina il nostro Paese da Piazza Fontana alla stazione di Bologna. È il profondo buco nero della Storia italiana.
Il 1969 è l’anno degli scioperi, dei cortei di operai e studenti in tutto il paese.
Torino, Milano, Genova, il triangolo industriale.
È l’anno delle bombe.
Dal 3 gennaio al 12 dicembre se ne conteranno 145, una ogni tre giorni.
Per 96 la responsabilità accertata è dell’estrema destra.
Il 15 aprile ne scoppia una nell’ufficio del Rettore dell’Università di Padova.
Il 9 aprile a Battipaglia vengono uccisi 2 lavoratori e 119 persone sono arrestati.
Il giorno dopo ci saranno manifestazioni in tutta Italia, accompagnate da violenti scontri con la polizia. Il commissariato di Battipaglia viene dato alle fiamme.
Il 25 aprile, alla Fiera di Milano, un ordigno provoca il ferimento di venti persone.
In agosto vengono piazzati dieci ordigni sui treni:otto esplodono e colpiscono dodici passeggeri.
A Pisa, il 27 ottobre, durante una manifestazione contro i colonnelli greci, uno studente rimane ucciso da un candelotto lacrimogeno lanciato dalla polizia.
Il 19 novembre, a Milano, nel corso di una manifestazione per la casa muore il poliziotto Antonio Annaruma.
Siamo in un clima incandescente sul piano politico.
Si è appena insediato il secondo governo a guida Mariano Rumor.
Il suo vice è Paolo Emilio Taviani. Ministro degli Esteri Aldo Moro,agli Interni Franco Restivo.
Un monocolore Dc.
Capo del Sid è l’ammiraglio Eugenio Henke.
Al vertice della polizia c’è Angelo Vicari.
Presidente della Repubblica è Giuseppe Saragat.
Nel 1969, lo stipendio di un operaio specializzato era di 110mila lire al mese.
L’affitto medio di un appartamento a Milano e Roma ammontava a 35 mila lire al mese.
La Fiat 500 lusso costava 525 mila lire.
Una tazza di caffè al bar costava 50 lire.
Un litro di benzina 75 lire.
12 dicembre 1969, mancano tredici giorni a Natale.
È quasi sera ma Milano è illuminata a giorno.
I grandi magazzini sono sfavillanti. Le compere e gli acquisti.
Le luminarie addobbano il centro che sembra un carnevale.
Migliaia di persone stipate in pochi metri tra corso Vittorio Emanuele, piazza Duomo e piazza San Babila vanno su e giù, osservano le vetrine.
Ci sono gli zampognari e i venditori di caldarroste.
Ai bar del Barba e Haiti servono espressi in continuazione.
La gente transita nei pressi del Teatro alla Scala.
Quella sera rappresentano Il barbiere di Siviglia.
C’è ressa davanti al Rivoli per Un uomo da marciapiede e all’Excelsior per Nell’anno del Signore.
Il freddo entra nelle ossa, con il bavero alzato e i guanti presi da Crippa, quel morbido pullover di cachemire comprato da Schettini e quella cravatta acquistata poco prima da Avolio.
Magari un cappello, un Barbisio, un Borsalino.
I giovani stanno tutti in Galleria Passerella da Fiorucci per gli ultimi arrivi alla moda. Tutti noi italiani ci sentiamo felici, immortali, allegri, innocenti.
A un tratto un forte e dirompente boato rompe quella strana ubriacatura invernale. Giunge dalla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana.
Sette chilogrammi d’esplosivo vengono compressi in una cassetta metallica, poi inseriti dentro una valigetta nera, tipo ventiquattro ore.
E’ collocata proprio al centro del salone dove gli agricoltori contrattano i loro affari.
La gelignite è attivata da un timer.
12 dicembre 1969, piazza Fontana, il giorno dell’innocenza perduta.
Diciassette morti, ottantotto feriti.
Alle 16.37 siamo già vecchi.
Fortunato Zinni lavorava alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Lo conosco da tanto tempo. Ai tempi dell’attentato era un dirigente sindacale, poi negli anni amato sindaco di Bresso. Fu lui il primo testimone della strage dall’interno della banca.
L’obiettivo della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano non è casuale come mi ricordava alcuni fa Francesca Dendena, figlia di Pietro Dendena, nei giorni in cui cercava la verità sulla morte di suo padre.
Il paese è attonito, martoriato.
Nessuno crede a quelle immagini che la televisione trasmette.
Frammenti di guerra, scene che sembrano venire da lontano, da un altro paese.
Cosa contengono i minuti dopo una strage?
Esistono silenzi che spesso sono fin troppo densi di rumori che si annullano a vicenda.
Silenzi, attimi, tempo che sembra non passare mai.
Frasi, azioni, gesti, sguardi, la vita degli agricoltori di Piazza Fontana si è fermata, ibernata. Statue di sangue e dolore che non hanno più un’anima, impietrite ti guardano come per chiedere un aiuto, come vite sospese che non sono più carne e parole.
Quelle statue che paiono di gesso non sono più vive ma parlano.
E raccontano una storia che parte da lontano, proprio da quella banca, a Milano.
Gli ultimi gesti di Pietro Dendena, Eugenio Corsini, Giulio China, Carlo Gaiani, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Luigi Meloni.
Gli sguardi di Gerolamo Papetti, Mario Pasi, Carlo Luigi Perego, Oreste Sangalli, Carlo Silva.
Le parole di Attilio Val, Angelo Scaglia, Calogero Galarioti.
Il dolore dei feriti, di quelli mutilati, di quanti si sono poi lasciati morire e non hanno più trovato un’identità.
Frasi che risuonano nel cervello, chiare e rotonde, pizzicano in gola, rintoccano sul fondo della lingua, e premono forte sulla laringe e schioccano, sonore e senza voce, più volte, nel corso del tempo, contro il palato. Silenzi fatti di rumori che si trasformano in urla ingoiate di traverso.
E compiono il giro del mondo.
In molti le percepiscono, forti e chiare, acute e potenti come bombe.
12 dicembre 1969.
Pochi minuti dopo la strage di piazza Fontana.
Un’altra bomba viene collocata nella sede della Banca Commerciale di Milano.
Possiede le stesse caratteristiche della prima ma non scoppia.
Altri ordigni vengono piazzati nel passaggio sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro a Roma. Tredici feriti.
Ordigni di elevata potenza colpiscono l’Altare della Patria e l’ingresso del Museo del Risorgimento a Roma. Quattro feriti.
Gli inquirenti indirizzano le indagini verso gli anarchici.
Ottanta fermati e arrestati.
Tra loro ci sono il ferroviere Giuseppe Pinelli e il ballerino Pietro Valpreda.
Così entra in scena l’informazione. Bruno Vespa prende la linea dalla Questura e dà la notizia dell’arresto di Valpreda, così certo della sua colpevolezza che sarà invece smentita da lì a qualche anno.
Sono le ore in cui l’innocente Giuseppe Pinelli cade dal quarto piano della Questura di Milano durante un interrogatorio.
E anni dopo i giudici scriveranno che Pinelli fu colpito da un “malore attivo”.
Pietro Valpreda viene rinchiuso in carcere fino al 1972. Innocente come scritto dalle sentenze dei tribunali.
Passano gli anni e la magistratura imbocca la pista giusta.
Le valigette che contengono l’esplosivo del’69 sono state acquistate da Franco Freda e Giovanni Ventura, fascisti di Padova.
Emerge un piano che deve sfociare in un tentativo di colpo di Stato militare.
Strage di Piazza Fontana.
17 morti accertati, più l’anarchico Pino Pinelli giudicato dall’ex presidente Giorgio Napoletano la 18esima vittima, 88 feriti.
Come è andata a finire?
Anni di inchieste, depistaggi da parte degli uomini degli apparati dello Stato, processi. 30 giugno 2001, Corte d’Assise di Milano. I militanti del gruppo neofascista Ordine Nuovo, Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Giancarlo Rognoni, condannati all’ergastolo. Tre anni a Stefano Tringali, per favoreggiamento nei confronti di Zorzi. Non luogo a procedere per il collaboratore di giustizia Carlo Digilio.
12 marzo 2004. La Corte d’Assise di Appello di Milano assolve Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi per insufficienza di prove, Giancarlo Rognoni per non aver commesso il fatto, e riduce da tre anni a uno la pena per Stefano Tringali con la sospensione condizionale e la non menzione della condanna.
3 maggio 2005, il processo si chiude in Cassazione con la conferma delle assoluzioni degli imputati e l’obbligo, da parte dei parenti delle vittime, del pagamento delle spese processuali.
Per la strage di piazza Fontana non c’è ancora oggi una verità giudiziaria, ma resta però una verità storica anche dalle sentenze di assoluzione.
Le responsabilità di Franco Freda e Giovanni Ventura, ritenuti anche dalla Corte di Cassazione tra gli esecutori della strage di piazza Fontana, anche se non più giudicabili dopo l’assoluzione definitiva nel gennaio del 1987.
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