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A cura di Ferruccio Bovio
Negli ultimi tempi, abbiamo assistito e stiamo tuttora assistendo ad alcuni clamorosi tentativi di rivisitare famose vicende giudiziarie, nonostante queste siano ormai state archiviate con sentenze passate in giudicato. Ci vengono in mente, tanto per fare due esempi, i casi della cosiddetta “Strage di Erba” o quello di Garlasco che, proprio in queste ore, si trova al centro dei più frenetici interessi mediatici. E in effetti, rispetto alle indagini pregresse, sorprendono davvero queste chiamate in causa di nomi vecchi e nuovi e queste disposizioni di sopralluoghi e di sequestri di materiali in precedenza – 18 anni nel caso di Garlasco – mai presi, stranamente, in considerazione. Possibile che tutti gli elementi di indagine che affiorano solamente oggi siano stati ignorati o, comunque, del tutto sottovalutati all’epoca in cui si arrivò alla condanna dell’unico imputato Alberto Stasi? Ci auguriamo francamente che nel corso dell’iter processuale che portò, nel dicembre del 2015, alla pronuncia definitiva della Cassazione, tutto si sia svolto secondo i più scrupolosi ed obbiettivi criteri investigativi, altrimenti – oltre ovviamente alla colossale ingiustizia subita da un individuo innocente che si vede costretto a scontare in carcere 16 anni della sua vita – ci sarebbe da gridare allo scandalo anche per l’eventuale imperizia di magistratura e polizia giudiziaria.
Certo, il rischio di cadere in errore – con evidenti gradazioni di pericolosità – è sempre presente in ogni tipo di attività umana: in quella sanitaria può avere addirittura conseguenze letali, ma anche in quella giudiziaria può, tuttavia, portare alla morte civile di una persona. Si pensi a Beniamino Zuncheddu, scarcerato dopo 32 anni di ingiusta detenzione oppure a Enzo Tortora che – sebbene poi pienamente scagionato in appello – dal momento del suo arresto a quello della sua piena riabilitazione, dovette convivere, per ben quattro anni, con l’incubo di essere considerato un camorrista. Un incubo da lui pesantemente pagato prima in termini di realizzazione professionale e poi, purtroppo, anche in termini di salute. Chi furono i magistrati che diedero l’ergastolo a Zuncheddu o che prestarono ascolto alle fandonie calunniatrici usate da un mitomane malavitoso per incolpare un individuo completamente estraneo a qualunque organizzazione mafiosa? Per curiosità siamo andati a vedere se, sulle carriere dei giudici del caso Tortora, ci siano state ripercussioni negative dovute alla superficialità con la quale attribuirono credibilità a certe infondate affermazioni. Ebbene, abbiamo scoperto che nessuno di essi subì un qualsiasi provvedimento disciplinare o vide, comunque, rallentata la sua normale progressione professionale: anzi, uno dei procuratori che sostennero l’accusa venne persino eletto al Consiglio Superiore della Magistratura: il che significa che i magistrati italiani scelsero uno degli inquisitori di Tortora quale rappresentante nel loro organo di autogoverno…Pertanto, amici ascoltatori, pensate anche voi che la mancanza di una concreta valutazione sull’attività professionale dei magistrati figuri, probabilmente, tra le cause principali del malfunzionamento della giustizia italiana?
Credits Foto: Agenzia Fotogramma
22 Maggio 2025
Scritto da: Redazione
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