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A cura di Ferruccio Bovio
Dopo 25 anni di carcere e quattro di sorveglianza, l’uomo che azionò il telecomando della strage di Capaci in cui persero la vita Giovanni Falcone, sua moglie e gli agenti della scorta torna, dunque, ad essere un libero cittadino. Paradossalmente, Giovanni Brusca, uno dei capi più sanguinari che Cosa Nostra abbia mai conosciuto – autore personalmente, per sua stessa ammissione, di almeno cento omicidi – riacquista la pienezza dei suoi diritti proprio in virtù di quella normativa sui collaboratori di giustizia – la cosiddetta Legge Falcone – così fortemente voluta dal magistrato che, per ironia della sorte, ha lui stesso ucciso. Il nome del capo mandamento di san Giuseppe Jato acquista una grande, quanto terrificante notorietà – anche presso i non addetti ai lavori – soprattutto quando, nel 1996, Brusca viene accusato di avere ordinato il rapimento e l’uccisione del dodicenne Giuseppe Di Matteo, sciogliendolo nell’acido, dopo una prigionia durata 779 giorni. Il tutto per lanciare un segnale intimidatorio a chiunque fosse stato tentato dall’idea di ripercorrere la strada del padre del bambino, Santino Di Matteo, divenuto collaboratore di giustizia.
Maria Falcone, sorella del magistrato assassinato dal boss soprannominato, per la sua ferocia, “scannacristiani”, ha accolto con “dolore e profonda amarezza” questa notizia, ma, al tempo stesso, “come donna delle istituzioni” ha pure riconosciuto che il percorso di collaborazione con la giustizia seguito dallo stesso Brusca “ha avuto un impatto significativo sulla lotta contro Cosa Nostra”. E’ stato lui, infatti, a fornire agli investigatori informazioni decisive per ricostruire la struttura di potere dei corleonesi di Totò Riina e per fare luce sulla inconfessabile ragnatela di rapporti che intercorrevano tra mafia e mondo politico. Adesso, tra i più che comprensibili malumori e frustrazioni che turbano, in queste ore, l’animo di tanti parenti e amici delle vittime di Brusca, l’ex braccio destro di Leonluca Bagarella potrà pure fruire di alcune misure di protezione personale, inclusa la scorta e un programma di protezione estremamente riservato per se stesso e per i suoi stretti congiunti.
Il giudice Giuseppe Ayala – amico di Falcone e Bosellino, nonché profondo conoscitore del fenomeno mafioso – si è detto convinto che la maggior parte dei pentiti non siano affatto animati da un effettivo rimorso per i delitti compiuti, ma cerchino, in realtà, di raggiungere un’intesa con lo Stato al solo fine di ottenere in cambio degli sconti di pena. Tuttavia, è Ayala stesso a sottolineare che se oggi è stato sensibilmente ridimensionato quello strapotere che, trent’anni fa, la mafia esercitava sentendosi quasi inattaccabile, la cosa è dovuta, in larga misura, anche alle rivelazioni di Giovanni Brusca. E voi, amici ascoltatori, che opinione avete? Ritenete che esistano delle ragioni di Stato per le quali, in certi casi, sia opportuno attenuare il rigore di una sentenza ergastolana, oppure pensate che Giovanni Brusca avrebbe dovuto passare tutto il resto della sua vita in carcere?
Credits Foto: IPA Agency
6 Giugno 2025
Scritto da: Redazione
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