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A cura di Ferruccio Bovio
Oggi, giovedì 6 febbraio, è la Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili: una forma di violenza silenziosa, che offende i diritti di tante bambine e giovani donne, mettendo a rischio la loro salute fisica e psicologica. Vi stiamo parlando di una pratica ignobile che, ancora oggi, trova attuazione in circa trenta Paesi – soprattutto africani – nei quali milioni di neonate e di ragazzine vengono barbaramente sottomesse a violenze che lasciano delle ferite profonde sia nei loro corpi, che nelle loro menti. E purtroppo, il fenomeno riguarda pure non poche giovani migranti che vivono nel nostro Paese, le quali sono spesso esposte al rischio di andare incontro a questi vergognosi supplizi, specialmente quando tornano nel loro paese di origine per fare visita ai parenti. E a questo proposito, uno studio dell’Università Bicocca di Milano ha stimato che il numero delle donne attualmente presenti in Italia e sottoposte alla mutilazione dei genitali durante l’infanzia, possa oscillare tra le 61.000 e le 80.000 unità. Più in dettaglio, la percentuale più alta delle vittime di questa inaccettabile violenza si registra presso quelle che provengono dalla Somalia con l’83,5%, seguite dalle nigeriane (79,4%), dalle egiziane (60,6%) e dalle eritree (52,1%).
Non è facile parlare di mutilazioni genitali e favorire una responsabile presa di coscienza da parte di queste popolazioni femminili, sia perché sovente considerano ogni tema relativo alla sessualità come un qualche cosa di sconveniente e, quindi, da evitare nella maniera più assoluta e sia perché per molte donne (ma anche uomini) risulta quasi blasfemo il fatto di poter mettere in dubbio delle pratiche che appartengono alle loro più ataviche tradizioni. Le mutilazioni genitali femminili rappresentano, quindi, l’espressione più profonda e radicata delle disuguaglianze di genere che caratterizzano le società in cui vengono tutt’ora eseguite. In alcuni casi, sono considerate come dei riti di passaggio, in altre situazioni sono, invece, intese quali prerequisiti per il matrimonio e spesso associate a credenze religiose. In sostanza, si tratta di un’usanza che costituisce un vero e proprio simbolo identitario e che, per essere finalmente superata, necessita, dunque, dell’immediata adozione, da parte dei Paesi europei, di programmi specifici che si pongano, come target generale, quello di rafforzare la prevenzione ed il contrasto a questo raccapricciante fenomeno. Tuttavia, a noi sembra che, invece, in Italia se ne parli solamente quando una mutilazione genitale – eseguita in chissà quali condizioni igienico sanitarie – degenera tragicamente nella morte di qualche sventurata piccola vittima. Lo pensate anche voi?
Credits Foto: Freepik
6 Febbraio 2025
Scritto da: Redazione
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